La riorganizzazione della pallacanestro maschile catanese dopo lo scioglimento del Giglio Bianco passò soprattutto attraverso l’attività studentesca. Tra le società che riuscirono a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore all’interno dell’attività sportiva locale emerse la Grifone e, tra gli elementi che giocavano in una delle sue prime formazioni, vi era Vittorio Currò.
«Mio padre ha giocato una vita a pallacanestro» afferma Luisa, figlia ed “erede sportiva” di Vittorio, avendo giocato con il Cus. «Giocò tanti anni a Messina: in squadra c’erano Cesare Lo Forte, a cui è stato dedicato un torneo locale, e Vittorio Tracuzzi, che sarebbe stato anche c.t. della nazionale. Anche altri suoi compagni sono rimasti nell’ambiente, come dirigenti a livello nazionale. Nel 1936 giocò anche un torneo a Bologna con la sua squadra. Dopo la guerra, si arruolò nell’aviazione e si occupò prevalentemente di meteorologia. Proprio per lavoro si trasferì a Siracusa, dove ha giocato ed ha anche diretto una squadra femminile. Tra le ragazze che allenava, c’era anche la sua futura moglie, mia madre.»
Quand’è arrivato a Catania? «Alla fine degli anni quaranta. Io sono nata in città e mio padre ha smesso di giocare nel 1952, con la maglia della Grifone. Poi mi ha sempre portato al PalaSpedini a vedere giocare la sua ex squadra.»
Di cosa si occupò dopo il ritiro? «Negli anni sessanta, lavorava nella torre di controllo che gestiva le telecomunicazioni della Sicilia orientale e della Calabria. Grazie al suo lavoro, diede una grossa mano a molti giocatori di basket, rugby e calcio: quando dovevano fare il servizio di leva, li chiamava come piantoni nel suo ufficio, per permetter loro di allenarsi e giocare. Aiutò molti giocatori del Gad Etna, dell’Amatori e del Catania Calcio, che ovviamente gli forniva un abbonamento gratuito per lo stadio! Conosceva bene l’allenatore Carmelo Di Bella ed era un grande amico dell’arbitro internazionale Concetto Lo Bello, che da giovane avrebbe voluto giocare a pallacanestro, ma lui gli faceva fare solo il raccattapalle: “Non sei cosa di giocare a pallacanestro!” gli diceva. Lo veniva sempre a trovare prima di partire per le trasferte, prendevano un caffé insieme e Lo Bello gli dava sempre del lei: era un signore.»
Roberto Quartarone
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