Enzo Molino, il padre della nuova Grifone

È stato giocatore, allenatore, dirigente, presidente. Nella sua lunga carriera ha ricoperto tutti i ruoli possibili, rendendosi protagonista di due periodi d’oro della pallacanestro catanese, con il Gad Etna e con la nuova Grifone. In tanti lo conoscono, ma non è stato comunque facile intervistare Enzo Molino. Il perché è presto spiegato: «Fino alla scorsa estate, non volevo più seguire il basket, ho avuto un rigetto. Non riuscivo a vedere neanche una partita in tv. Quando mi si parlava di pallacanestro sviavo il discorso, mi tenevo sul vago. E ora sono otto anni che non ne parlo, ho cercato di scansare l’argomento in tutti i modi!»

Molino

A TUTTO TONDO. Enzo Molino, 57 anni, stato un personaggio a tutto tondo

Perché?

«A causa della mia ultima esperienza, con il Cus in Serie B2. La squadra universitaria rischiava di non partecipare al campionato così con la mia società, la Grifone, mi inserii nelle contrattazioni per salvare la categoria. Riuscimmo ad aggiungere l’attività cusina a quella delle altre sei formazioni. Ci avevano promesso determinati presupposti economici, ma alcuni si tirarono indietro in corso d’opera. Alla fine ho dovuto far fronte personalmente alle spese (circa cinquanta o sessanta milioni di lire) e per rientrare ho dovuto cedere tutte le attività a Laneri. Ricordo l’ultima cena a Nicolosi con la squadra della Serie B2, quando tutti si aspettavano l’assegno con i loro rimborsi. Pagai ognuno di loro con solo un mese di ritardo, dando anche qualcosa a Diana e Galatà, i più giovani, che non se lo aspettavano. In concomitanza, per lavoro dovetti andare fuori, quindi il tempo libero diminuì drasticamente.»

 

Come fu l’esperienza del Cus, a parte il lato economico?

«Luca Di Mauro era il presidente, ma io avevo carta bianca per la sezione pallacanestro, ero una sorta di presidente onorario. È stato un anno bellissimo, nonostante le grosse difficoltà. Riuscimmo a conseguire tutti i risultati, con una salvezza gratificante. La presenza del tecnico Željko Zečević ci risolse tanti grattacapi. Ci era stato segnalato dal commissario tecnico dell’Italia, Bogdan Tanjević, e sapeva allacciarsi a qualsiasi problematica. Era un allenatore energico che aveva un’identità di vedute con noi dirigenti. Intendeva la pallacanestro in una certa maniera, diciamo militarizzata, e pensava di contare su un drappello di soldati da mandare al fronte. Nelle altre società, poi, ottenemmo buoni risultati. Avevamo rilevato anche la Rainbow (che partecipava alla Serie B femminile) e la Clipper (D maschile) da Salvatore Curella. La Serie B femminile era un po’ più consistente, sia sul piano tecnico che economico, rispetto alla Serie C che affrontavamo ancora una volta con la Gimar. La Rainbow era allenata da un tecnico di Siracusa che ci portò alla salvezza. Infine, avevamo il Gad Etna in Serie D e la Grifone in Serie C2. Gestivamo circa 750-800 ragazzi dal minibasket alla prima squadra e il sostegno economico ci veniva da questi ragazzi, che fornivano delle rette ben compensate dalla bravura dei nostri allenatori qualificati come Daniele Balbo e tanti altri.»

 

La signora Molino, mentre ascolta il marito, sussurra: «Certe volte vorrei che ricominciasse!»

 

La passione dell’ex tecnico e dirigente è fin troppo forte… «Lo farei, ma ho paura di riaffrontare gli stessi problemi. Sono rimasto molto deluso da tante persone.»

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NEOPROMOSSI. Il Gad Etna 1977-1978, neopromosso in Serie C [E.Privitera].

Quando è entrato nel mondo della pallacanestro?

«Ho iniziato a giocare a 13 anni allo Spedalieri con Sensi, Strazzeri, Maglia e Campanella; tutti eravamo stati avviati dal professore Cazzetta. Poi sotto la guida di Santi Puglisi, che insegnava lì, quest’attività andò avanti e i miei compagni diventarono il gruppo portante dello Sport Club. Io passai al Gad Etna, allenato prima da Enzo Castelli, poi da Giuseppe Mineo, che ancora era in prima squadra in Serie C. Giocai per due o tre anni, ma ero un infimo giocatore e l’allora allenatore Totò Trovato mi invitò ad occuparmi dei ragazzini. Iniziai ad allenare così il mio primo gruppo.»

 

Si ricorda ancora i nomi?

«Sfortunatamente no… Sono passati tanti anni e solo nella mia ultima stagione con la Grifone ne ho avuti 800! Dai tempi in cui ero solo osservatore ad oggi ne ho incontrati tantissimi…»

 

Come fu la sua attività da allenatore?

«Iniziai con le giovanili, poi allenai anche la squadra di Promozione quando il Gad Etna era in Serie B. Quando la società lasciò la serie cadetta, si concluse il primo periodo della sua toria, perché Totò Trovato smise di allenare. A quel punto portai avanti io i ragazzi della Serie D. Nel giro di qualche anno fummo promossi e iniziò un ciclo avvincente. Trovato portò la sponsorizzazione Jägermeister e il gruppo era giovanissimo, formato da ragazzi provenienti dai settori giovanili di altre società a cui davamo dei supporti di vario genere, come la Salette e la Sales. Vennero fuori La Fauci, Destasio e Calì e due o tre volte disputammo la Poule B, che serviva a selezionare le quattro squadre che sarebbero state promosse in Serie B.»

 

Come si concluse l’esperienza del Gad Etna?

«Diventai dirigente per far posto a Rolando Rocchi. La società cambiò di proprietà, ma non ricordo perché Avola sparì, all’improvviso. Mi ricordo che per le trasferte andavo da lui, al Teatro Massimo, per chiedergli i soldi necessari, ma mi diceva sempre: “Non posso, ‘a petra non si pò munciri”! Però, se anticipavo, mi tornava sempre tutto. Era molto attaccato all’etica sportiva, al giocare per divertirsi. Lui cercava di rifuggire dalla mentalità dagli stipendi e dai cartellini… per lui non era più sport così. Resistette suo malgrado, ma poi si rese conto che il basket era troppo regolato dal carattere economico, così cedette la società a Cutugno. Poi non ricordo bene gli avvicendamenti successivi. Ci furono per un paio d’anni Martino e Puleo, che non erano ai vertici della società ma erano meglio di qualsiasi presidente, perché provvedevano a tutte le necessità. Per un altro biennio la società l’aveva Maglia, poi arrivarono Cavallaro e Chisari. Nel 1991 li ho lasciati per fondare la Grifone, nel settembre dello stesso anno. Poco tempo dopo, l’Unione Sportiva Gad Etna fallì perché gravavano dei debiti della gestione Chisari-Cavallaro. Io poi rifondai un’altra società con il nome Associazione Sportiva Gad Etna, qualche anno dopo, che è quella che ancora disputa la Serie C2.»

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VICINI ALLA B. Il Gad Etna 1978-1979, vicino alla promozione in Serie B [E.Privitera].

Quali sono i suoi ricordi più belli?

«Sono legati al periodo Jägermeister, fu esaltante. Avevo tanti giovani vogliosi, che cercavano riscatto, come Gianni Messina ed Enzo Calì. Era gente abituata al lavoro duro, al sacrificio. I risultati erano consoni all’età degli atleti: passavamo da partite entusiasmanti a partite perse contro squadre più scarse, con la relativa delusione per la prestazione. Gianni Messina riusciva a vincere anche da solo, perché era tanta la sua voglia, il suo agonismo, il suo orgoglio che valeva per cinque. Non riusciva a sopportare la sconfitta e ce la metteva tutta per poter vincere. Non posso scordare una gara a Torre del Greco. Negli ultimi venti secondi Gianni entrò a canestro in terzo tempo, realizzò, subì fallo, segnò il libero e sulla rimessa recuperò la palla e segnò ancora, facendoci vincere di un punto. Ricordo sempre anche Calì, La Fauci, Destasio e Bertazzini da Sondrio. »

 

Cosa mancò a quella squadra per fare il salto di categoria?

«Non saprei. Inizialmente qualcosa a livello di esperienza. Un anno però disputammo la Poule B con gente del calibro di Rossi, Tiseno e Putortì. Riuscimmo a fare la fase finale, ma non arrivammo alla promozione. Forse mancò qualcosa da parte mia o dalla società, o forse solo la fortuna di mettere la palla a canestro al momento giusto.»

 

Quali sono i problemi del basket catanese?

«A Catania, la parte economica è quella che deve supportare di più lo sport. Quando ero al Gad Etna, nonostante si facesse una Serie B che costava parecchio, non avevamo nessuno a supportarci. Per certi versi è meglio andare per la propria strada, per strutturare un gruppo giovanile alle spalle di una squadra di punta. Si può arrivare a determinati livelli anche senza voli pindarici. Però, senza l’apporto di carattere economico non si possono superare quei limiti. Oggi le società non hanno contributi né sponsor e ci sono sempre problemi con i campi. Continuare a fare attività sportiva sembra una cosa da pazzi. Ci si può dare da fare a procurare i soldi, ma se non se ne trovano bisogna aprire centri d’addestramento a regola d’arte. Così abbiamo fatto alla Grifone. I ragazzi pagavano 200 mila lire: 100 mila servivano per loro, per qualsiasi necessità, compresi i completini che compravamo in Romania risparmiando fino all’80%; il resto per l’attività di punta. E i risultati di quel lavoro si vedono tuttora, in quanto un 50% dei ragazzi attuali vengono dalla Grifone.»

 

Come era organizzato il gruppo della Grifone?

«Nel mio piccolo, penso che la Grifone sia stata una grande attività. Ogni società aveva un gruppo dirigente che si occupava delle singole squadre, poi ci riunivamo per creare una sinergia fra di noi. In questo lavoro, Pippo Vittorio ha dato un grande supporto, è stato con lui che ho iniziato l’esperienza della Grifone. Contemporaneamente lavoravo anche in Federazione, nel comitato zonale che comprendeva Catania, Siracusa ed Enna, che si occupava di organizzare i campionati interprovinciali fino alla Promozione. La sede della squadra era in via Sassari 7, da cui partivano tutte le nostre iniziative. Lo chiamavamo l’ufficetto, ci passavo tutte le sere dalle 17 alle 22, dopo il lavoro. Vivevo e abitavo nei dintorni, poi mi sono trasferito ed è diventato tutto più difficile.»

 

 

94-95

GRIFONE. Una formazione della nuova Grifone, nel 1994-95 [C.Carbone].

Ma tutti i trofei della società dove sono finiti?

«Ho ancora a casa di mia madre tutte le coppe del Gad Etna. Quelle della Grifone sono rimaste in via Sassari. Ero troppo stanco e disinnamorato per pensarci. Sicuramente Di Maita ne saprà qualcosa, anche se poco dopo lui ha ceduto le società a Laneri, a Ferlito e all’Aleksandrova, quindi non so che fine possano aver fatto. La nostra sede era il cuore pulsante di tutta l’attività, dove programmavamo come costituire i gruppi, per far andare avanti i più bravi. Vergani si occupava del lato economico, io e Vittorio annotavamo tutto ciò che era necessario e ce ne occupavamo. Grazie a questo lavoro di squadra, nessuno ha mai avuto problemi di denaro con me e posso dire a voce altissima che non devo una lira a nessuno.»

 

La partita della Nazionale italiana a Catania è stata opera vostra?

«Sì. Nel 1997 siamo riusciti ad organizzare Italia-Lettonia, che ha lasciato qualcosa a livello di entusiasmo e di fermento, anche se non ha sono rimasti dei benefici materiali. Ancora ho la locandina con gli autografi dei giocatori e il biglietto # 2000.»

 

Si ricorda degli altri passaggi della Nazionale?

«Mi ricordo della partita tra la Nazionale italiana e la Germania nel ‘74 e anche degli Europei femminili del ’68, quando ho avuto qualche problema insieme a degli amici, perché c’era non solo la polizia politica russa e cecoslovacca, ma anche la digos! Ogni tanto facevamo qualche puntata per stuzzicare e i poliziotti vennero fin dentro al palazzetto…»

 

Avete organizzato altre manifestazioni?

«Qualsiasi evento organizzassimo era sempre per galvanizzare l’ambiente. Con Sigonella si organizzavano dei tornei grazie all’aggancio dell’arbitro Piero Viola, ma si tratta di rari incontri. Più che altro ricordo che i marines parteciparono ad un torneo quadrangolare con una squadra francese, cecoslovacca e la Fortitudo Bologna, organizzato da noi per creare un’altra fonte di reddito. Organizzammo anche una partita importante della Virtus Ragusa qui a Catania e il Jamboree di Minibasket, di cui i dirigenti federali rimasero tutti soddisfatti.»

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ULTIMA ESPERIENZA. Una formazione del Cus 1999-2000, ultima formazione in cui Molino ha lavorato personalmente [N.Urz].

Perché avete creato una squadra femminile?

«Ho voluto che ci fosse il settore femminile perché non volevo discriminazioni. L’ambiente deve essere formato da giovani, poco importa di che sesso! Non avevamo un grosso afflusso di ragazzine, ma quelle che si allenavano con noi erano arrivate soprattutto grazie a Pippo Vittorio, che curava la Gimar. Nella femminile sono molto più ansiose e le mamme seguono di più, quindi ci voleva tutta la sua pazienza e la sua diplomazia! Gli diedi carta bianca di buon grado, perché sono molto meno paziente! In seguito, la Rainbow sarebbe servita da obiettivo a cui puntare. Così, siamo partiti dal nulla, la squadra è cresciuta e ci ha dato delle soddisfazioni. Abbiamo ceduto anche alcune giocatrici.»

 

Parlando di cessioni, lei ha avuto un ruolo anche in quelle eccellenti del Gad Etna, giusto?

«Sì, perché Destasio andai a cederlo io e la Virtus Bologna ci pagò a rate. Poi andai anche a trattare quella di La Fauci. Dopo che andò via Trovato, andai a Verona per Di Mauro e Politano, per conto di Maglia. La società ricavò 70 o 80 milioni l’uno. Di Mauro fu ceduto alla Viola e Ninni Gebbia mi aveva cercato per cederglielo. Politano invece è sparito; se non sbaglio si è fatto prete!»

 

Quale fu l’iter della realizzazione dei playground?

«Ci diede una mano l’assessore Guarnaccia, sotto l’amministrazione Bianco. Nello stesso periodo avevamo dei buoni rapporti con Fabio Pagliara, consulente del comune con cui discutevamo dei progetti. Ci venne dato un contributo e vennero individuate le aree dove montare i canestri. In via Vagliasindi, però, il terreno che ci fu assegnato era privato e nessuno ne sapeva nulla! Apparteneva ai cavalieri di Malta e si rischiò anche l’incidente diplomatico, con tanto di denuncia penale… Poi però tutto si risolse per il meglio. Dovevamo curare la manutenzione dei campi, cambiando gli anelli e dando una mano di vernice, ma poi non se ne fece nulla.»

 

Cosa ne pensa della Pallacanestro Catania?

«Non sapevo molto della Pallacanestro Catania finché non me ne ha parlato il genero di Massimiliano Puleo, Maccarrone che si occupa di pallavolo. Puleo sta veicolando alcuni giocatori verso la squadra di Costantino Condorelli, che ho avuto nella Grifone e mi fa piacere veramente per loro. Spero anche che si occupino anche delle giovanili, perché ora mi sembra che nessuno ci stia pensando seriamente, a parte il Cus.»

Roberto Quartarone

11 commenti

  1. Non si pu dimenticare facilmente ci che ha realizzato per la pallacanestro catanese. Grazie Molino!!! Torna presto, la pallacanestro catanese ha bisogno di te.

  2. Il male della pallacanestro catanese la politica! C’ troppa politica, troppi loschi interessi e poca voglia di sport vero.
    Se non si estirpa l’erbaccia non potr mai nascere qualcosa di interessante, siamo alla frutta! Spero che la nuova dirigenza della Pallacanestro Catania faccia risorgere le sorti della nostra pallacanestro!

  3. Dubito che sia la dirigenza della pallacanestro Catania a farci risorgere.
    Molino uomo vero, ancora la Catania cestistica usufruisce del suo operato a tanti anni di distanza. Meditate

  4. Rammento al Dott. Molino che solo quest’anno lo S.C. Gravina ha vinto 4 titoli giovanili provinciali e 2 regionali. Quindi qualcuno che pensi seriamente al settore giovanile, anteponendolo alla 1 squadra, c’. Diamogliene atto!!!

  5. Grande merito allo Sport Club Gravina, comuque ci che ha realizzato Molino o “il dott. Molino” stato grande. Perch non ha continuato? Forse perch nessuno l’ho aiutato quando aveva realmente bisogno. Gli amici sono presenti solo quando tutto va bene se invece iniziano i problemi si rimane da soli. Mi auguro che non si ripresenti pi questa situazione a Catania, sarebbe un grave danno UMANO ed ECONOMICO.

  6. Complimenti di cuore per la tua, seriet, passione incondizionata per la pallacanestro , e managerialit con cui ai ricostruito la nuova Grifone; sei stato certamente un componente fondamentale per l pallacanestro a Catania.
    Riccardo Cantone

  7. Sei stato sempre un “grande” della pallacanestro a Catania. Spero che tu lo sia ancora in futuro.

    Che nostalgia dei bei tempi!

    Antonella Sirianni

  8. Ma se lo ricordiamo per le sole cose buone va bene tutto.
    Ma purtroppo non sono solo rose ci sono pure le spine ma siccome sono vecchie saranno seccate.

  9. LA PALLACANESTRO ATTUALE della citt di CATANIA,si basa ancora sul lavoro di MOLINO…e tu stai a ricordare le spine…

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