Basket e Olimpiadi: Atene 2004
Il capolavoro dei cestisti-operai!

L’indimenticabile impresa del gruppo di Carlo Recalcati...

Era approdata ad Atene con lo spirito giusto,la Nazionale italiana maschile di basket. Umile, fiduciosa nelle proprie possibilità, decisa a dare battaglia, qualsiasi avversario si trovasse di fronte. Coach Carlo Recalcati Il logo delle Olimpiadi grechel’aveva voluta così. Lui sì che sapeva come costruire i successi. Tre scudetti era riuscito a conquistarli su tre diverse panchine (quella di Varese, della Fortitudo Bologna e di Siena), dopo aver seminato bene in molte province della penisola, da Bergamo a Reggio Calabria. E se ne intendeva anche di Olimpiadi. Vi aveva partecipato, da giocatore, in due edizioni: a Città del Messico nel ’68, come prodotto dell’ultima nidiata del prof. Paratore, e a Montreal nel ’76, quando Primo lo aveva ripescato (all’età di 31 anni) per avvalersi di un pizzico di esperienza in più. Tutte buone le premesse, spazio all’ottimismo.

 

Il quinto posto di Sidney 2000 aveva riscattato il lungo periodo buio delle tre mancate presenze nei tornei olimpici a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Da lì bisognava partire per dare un segnale di continuità. Era stata etichettata come «squadra operaia», quella che Recalcati aveva condotto a questo importante appuntamento. Giocatori in funzione del gioco e non viceversa; tutti titolari o panchinari, nessuna primadonna, ognuno poteva risultare determinante, qualunque cosa – piccola o grande – gli venisse chiesta di fare in campo.La Federazionecredeva nel nuovo tecnico e nella sua filosofia. A tal punto che nella stagione 2003-’04, quella che portava ai Giochi in Grecia, si accontentò di avelo a disposizione solo part-time, dividendolo conla Mens Sana Siena che lo aveva fortemente voluto alla sua corte per puntare in alto. Il primo scudetto della società toscana, al termine di quel campionato, sembrò dare una spinta in più alla Nazionale.

 

Recalcati confermò per nove dodicesimi la formazione che aveva conquistato il bronzo europeo l’anno prima: Basile, Galanda, Chiacig, Mian, Marconato (questi primi cinque presenti anche a Sidney), Bulleri, Righetti, Soragna e Radulovic. Decise poi di rispolverare, per l’occasione, il play Gianmarco Pozzecco, che aveva già fatto un’apparizione con la maglia azzurra ai Mondiali di Grecia del ’98 (uno dei tanti giovani catapultati in campo da Tanjevic), per poi restare fuori dal giro: non era più giovanissimo (32 anni) ma nei suoi 181 cm c’era ancora un concentrato di velocità e di estro che poteva dare svolte decisive alle partite. Due debuttanti furono inseriti all’ultimo momento: l’ala grande Luca Garri e il play-guardia Rodolfo Rombaldoni.

 

Nel girone eliminatorio bisognava vedersela conla Spagna(seconda agli ultimi Europei), la rappresentativa di Serbia-Montenegro (che fin quando si era presentata con la sigla  Jugoslavia era stata ai vertici, vincendo tra l’altro i Mondiali del 2002), l’Argentina (squadra in forte crescita, che in quei Mondiali era arrivata seconda),la Cina(da sei edizioni sempre presente ai Giochi) ela Nuova Zelanda(l’unica avversaria che sembrava facilmente abbordabile). L’esordio fu proprio contro la squadra del continente oceanico: vittoria sì, ma affatto agevole, con un71 a69 che procurò qualche apprensione. Si capì subito che il cammino era tutto in salita. Anzi, a un certo punto sembrò che dovesse interrompersi anzitempo. Due sconfitte consecutive, di misura con Serbia-Montenegro (72 a74), più nettamente conla Spagnadel fuoriclasse NBA Pau Gasol (71 a63), avrebbero potuto togliere ogni speranza di qualificazione. Invece, ecco venir fuori la prima vera dimostrazione di carattere: spazzata viala Cina, che ripresentava il suo gigante-simbolo Yao Ming (89 a52) e via libera per i quarti di finale, dove accedevano le prime quattro del girone a sei. Col morale risollevato, arrivò un’altra vittoria, di un punto (76 a75) contro l’Argentina, quando era in palio solo il posto migliore per qualificarsi. La classifica del primo turno così recitava: Spagna in testa a 10 punti, poi Italia e Argentina a 6 (gli azzurri col vantaggio dello scontro diretto), quindila Cinaa 4. Eliminatela NuovaZelandae, a sorpresa,la Serbia- Montenegro, nonostante l’allenatore Obradovic potesse disporre di giocatori del calibro di Bodiroga, Tomasevic (entrambi argento ad Atlanta) e di altri quattro (Drobniak, Radmanovic, Krstic e Pavlovic) già impiegati nella NBA.

 

Una sorpresa in senso negativo saltò fuori anche nell’altro girone, e venne dagli Stati Uniti, che dopo avere rimediato un duro colpo nella partita inaugurale (quasi venti punti di passivo con Portorico), cedettero anche alla Lituania (90 a94); le vittorie con Grecia, Australia e Angola valsero la qualificazione come quarta squadra classificata (alle spalle di Lituania, Grecia e Portorico), non proprio un risultato di cui andar fieri. Pensare che in quei pochi giorni gli USA avevano riportato lo stesso numero di sconfitte (due) che fino allora erano pesate in tutte le edizioni di Olimpiadi da quando il basket era stato inserito nel programma, cioè da Berlino ’36: la prima risaliva a Monaco ’72 nella famigerata finale con l’URSS, l’altra a Seul ’88 in semifinale, ancora per mano dei sovietici.

Che per gli statunitensi non si profilasse ad Atene un torneo da percorso netto, come era accaduto da tre edizioni a quella parte, lo si era capito già dal 2002, quando nei Mondiali disputati in casa, a Indianapolis, era arrivato un deludente sesto posto, peggior risultato di sempre. Si era cercato di correre ai ripari in vista delle Olimpiadi, allestendo una formazione di vere stars, ma all’ultimo momento il coach Larry Brown (reduce dai successi con i Detroit), dovette fare i conti con qualche rinuncia importante, come quella di Shaquille O’Neal (già protagonista dell’oro di Atlanta ’96) e di Kobe Bryant (che avrebbe atteso il passaggio del successivo «treno olimpico»). A parte il play Jason Kidd, unico reduce di Sidney, i nomi più conosciuti erano quelli di Tim Duncan (ala grande di 2 e 11 dei San Antonio) e di Allen Iverson (play-guardia dei Philadelphia, fortissimo al tiro e nelle penetrazioni). Molto interesse vi era attorno a un trio di giovani che rappresentavano le migliori scelte dei colleges, LeBron James, Carmelo Anthony e Dwyane Wade: anche per loro, però, la vera gloria sarebbe arrivata dopo.

 

La selezione USA raramente riuscì a entrare nel clima agonistico del torneo olimpico. Forse l’unica occasione capitò nella partita inaugurale dei quarti, contro la Spagna, prima dell’altro girone, che venne battuta 102 a94. Insemifinale però, gli americani trovarono un’Argentina dalle grandi individualità, su tutti Manu Ginobili (prof dei San Antonio), che con i suoi 29 punti risultò determinante per una clamorosa vittoria: 89 a 81. L’Italia, da parte sua, aveva acquisito sempre più convinzione nei propri mezzi; contro Portorico, che aveva nel play Carlos Arroyo il suo giocatore più temibile (anche lui un prof, con gli Utah), la vittoria non fu in discussione (83 a70); ma il vero capolavoro arrivò in semifinale, quando venne fatta fuorila Lituania dei vari Songaila, Macijauskas, Stombergas, gente proveniente dalla NBA o con le valigie pronte per approdarvi: grande prova di tutta la squadra azzurra (con un Pozzecco scatenato) e un punteggio finale col botto,100 a 91.

 

Al di là, forse, di ogni ottimistica previsione, l’Italia di Recalcati guadagnava la finale per l’oro, ma soprattutto una sicura medaglia d’argento, eguagliando così il miglior risultato mai raggiunto nella storia delle partecipazioni olimpiche, quello di Mosca ’80. Contro l’Argentina gli azzurri ci provarono a bissare il successo del girone eliminatorio, ma stavolta trovarono di fronte una squadra ben più motivata, che trovò la concentrazione e la serenità giusta per non sbagliare praticamente nulla: i quindici punti di scarto finale (84 a69) misurarono l’esatto divario dei valori in campo. «Equipo de sueňo» poteva essere l’etichetta della squadra argentina, parafrasando il «Dream Team» statunitense. Il selezionatore Ruben Magnano (che dopo quella felice esperienza olimpica sarebbe stato ingaggiato da Varese) raccolse quasi tutti i suoi giocatori in giro per il mondo, pescando in Italia, in Spagna e negli Stati Uniti. Quattro di loro si erano praticamente affermati nel nostro campionato (Hugo Sconochini, Alejandro Montecchia, Carlos Delfino, lo stesso Manu Ginobili), e per tutti era stata Reggio Calabria la piazza di lancio. La NBA, oltre a Ginobili, era pronta ad accogliere qualcun altro, come Andreas Nocioni e Luis Alberto Scola (il centro di 2 e 11 che risultò decisivo nel finale di partita con l’Italia).

 

Per gli Stati Uniti arrivò, quanto meno, la consolazione della medaglia di bronzo (rivincita conla Lituanianella «finalina»,104 a 96), scongiurando così il fallimento di un podio mancato, e sarebbe stata la prima volta, a parte ovviamente l’edizione di Mosca da loro boicottata. Mai un torneo olimpico di basket aveva così stravolto la tradizione. Per l’Argentina il podio era una novità, il suo miglior piazzamento era stato un quarto posto, ma ad Helsinki, più di mezzo secolo prima. A parte il mito degli USA, venne alquanto ridimensionato anche quello delle squadre dell’Est europeo (la Serbia-Montenegrosu tutte), che per la prima volta non riuscirono a conquistare alcuna medaglia.La Grecia, con il quinto posto, evidenziò i suoi progressi, e che non si trattasse solo di un fattore casalingo favorevole lo avrebbero confermato i risultati degli anni seguenti. La stessa Spagna aveva disputato un torneo ad alto livello, avendo avuto però la sfortuna di trovare lungo la sua strada gli Stati Uniti nel posto e al momento sbagliato; e anche qui i risultati futuri avrebbero parlato a loro favore. In questa sorta di globalizzazione cestistica, l’Italia si giocò bene le sue carte, e trovò un argento che premiava l’impegno e il coraggio trasmessi dal suo allenatore. Purtroppo, da allora, sarebbe cominciato il declino…

 

Il basket statunitense si consolò anche con la squadra femminile, che invece proseguì la sua lunga serie di imbattibilità, ininterrotta da Atlanta ’96. Fin troppo facili le vittorie nel girone di qualificazione, poi 30 punti alla Grecia nei quarti, solo 4 insemifinale alla Russia (bronzo) e 11 infinale all’Australia (che confermò l’argento di Sidney). Di italiano, in quel torneo, c’era solo la mezza nazionalità di Diana Taurasi (californiana di nascita, figlia di un ex portiere italiano di calcio), guardia tiratrice, che andò a rinforzare una formazione già imbottita di campionesse note, come Dawn Staley, Sheryl Swoopes e Lisa Leslie, che ad Atene misero al collo il loro terzo oro olimpico.

 

Il contributo più consistente per le medaglie statunitensi venne dal nuoto, dove un diciannovenne di Baltimora, Michael Phelps, scese in acqua col fermo proposito (e il consistente appoggio di qualche sponsor) di abbattere il record di sette medaglie d’oro che Mark Spitz aveva fatto suo a Monaco ’72. Di medaglie riuscì a vincerne otto, ma solo sei erano d’oro (tra gare di stile libero, farfalla, misti e staffette), e così la scommessa dovette essere rinviata: giovane com’era, aveva tutto il tempo di riprovarci… Per una stella che nasceva, un’altra che veniva – irrimediabilmente – un po’ offuscata: quella dell’australiano Ian Thorpe, che a soli 22 anni si vide la strada sbarrata nel tentativo di migliorare il suo bottino di Sidney 2000: allora 5 medaglie (3 d’oro, 2 d’argento), stavolta solo quattro (2 oro, 1 argento, 1 bronzo).

 

Gli Stati Uniti si ritrovarono ancora una volta in testa nel medagliere olimpico, ma un vento nuovo soffiava alle loro spalle: con la sua inesorabile scalata verso le posizioni mondiali di vertice – nello sport come in tanti altri campi – la Cinariuscì a piombare in seconda posizione, con una differenza di 3 sole medaglie d’oro. Gli atleti con gli occhi a mandorla – ben supportati da una politica di stato che li faceva somigliare molto a quelli dei passati regimi comunisti – mostrarono il loro valore non solo nelle discipline a loro più congeniali (ginnastica o tuffi), ma anche nell’atletica leggera (dove uno sconosciuto Xian Liu si impose a sorpresa nei 110 ostacoli, eguagliando addirittura il record del mondo), nel nuoto (i 100 rana vinti dalla ventenne Luo Xuejuan), il tennis (l’incredibile successo nel doppio femminile).

 

Il vento della Cina soffiava così forte da lasciare presagire lo scenario di  quattro anni dopo, quando i Giochi sarebbero stati ospitati per la prima volta a Pechino…

Nunzio Spina

[24 – segue la prima puntata di Atene 2004, continua con un’intervista a Carlo Recalcati]