La ragusana Simona Sorrentino ha vinto la medaglia agli Europei con la Nazionale italiana sorde: è un traguardo che dà seguito al bronzo ai Mondiali 2018 e inedito per il basket italiano. La sorella di Alessandro e Andrea nel 2015-’16 ha vestito la maglia dell’Under-20 della Lazùr Catania: memorabile una sfida al Verga di Costanza Verona al PalaArcidiacono. In squadra con lei c’erano anche la siracusana Martina Benincasa e la messinese Simona Cascio. Questa è l’intervista che ha realizzato con l’ala iblea La Giornata Tipo, che ringraziamo per l’autorizzazione a riprodurla qui.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Simona Sorrentino, leader della Nazionale femminile sorde, da domenica campione d’Europa.
«É stata un’emozione indescrivibile… Io sono nata e cresciuta in una famiglia udente e ho trascorso la maggior parte della mia infanzia a fare logopedia, a cercare di migliorarmi per mascherare questa mia disabilità che mi faceva soffrire. Che mi faceva sentire una bimba diversa… Quand’ero piccola e giocavo nel minibasket alcuni compagni mi chiedevano “Ma cos’hai dentro le orecchie??!”… Io mi paralizzavo e scappavo. Crescendo sono arrivate protesi migliori e ho capito che non dovevo più vergognarmi. Ora mi sento più libera, gioco senza protesi in questa fantastica nazionale che mi ha dato tanta sicurezza: oggi mi capita di andare a correre senza protesi con la musica nelle orecchie, solo per sentirmi libera: ovviamente col volume al massimo eh!».
«Sì è vero, la comunicazione tra di noi in campo è speciale. Per “sentire” (metti le virgolette eh, perché io che dico sentire fa abbastanza ridere…) ciò che dice una compagna è inevitabile avere un super contatto visivo per capirsi davvero. Sul parquet ci capiamo con un solo gesto, uno sguardo, un segnale, ed è per questo che siamo legatissime».
«Non aver potuto sentire l’inno nazionale mi pesa. Ma noi lo abbiamo comunque cantato con la lingua dei segni, avvolte dal calore della nostra gente sugli spalti. E’ stato davvero emozionante. Abbiamo sentito tutta l’Italia con noi”.
«Ho sempre detto che per me la disabilità è stata un’opportunità. Senza non sarei diventata la persona che sono oggi, non avrei avuto l’opportunità di giocare con una maglia con scritto ITALIA addosso, ma soprattutto non avrei questa consapevolezza nell’affrontare e superare tutti gli ostacoli che ci sono nella vita. Siamo campionesse d’Europa: non è mica male aver scavalcato questo ostacolo…».
«Il basket è il mio porto sicuro. Per me non è un semplice sport ma è una scuola di vita. Se non fosse per il basket non avrei mai avuto l’onore di giocare con loro: le mie compagne di questa nazionale. Ci tengo a ringraziarle una ad una. Dalla più giovane alla più vecchia. Siamo tutte così diverse eppure così simili. Tutte accomunate da una sfortuna nella vita, tutte accomunate da una passione smisurata per il basket. Auguro a tutti di trovare nella vita compagne e amiche come ho trovato io, perché fanno davvero bene al cuore. Loro, e la mia coach Sara Braida, sono la mia medicina che ha curato le mie insicurezze e che mi ha permesso di poter dire: siamo campionesse d’Europa».
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