Durante questa quarantena, ho vissuto delle opportunità davvero significative e importanti per la mia crescita personale, nonostante questo periodo contribuisca a creare un malessere generale. Tuttavia, credo di non aver avuto un’esperienza più particolare della chiacchierata con coach Željko Zečević, probabilmente uno degli allenatori, passati da Catania, che ha avuto maggiormente successo in ambito internazionale. Coach Zečević è stato ospite della quindicesima puntata delle nostre dirette, ciò che ci ha raccontato, la sua storia, il suo carisma e il modo in cui pensa la pallacanestro mi hanno decisamente colpito, al punto di voler organizzare una seconda chiacchierata privata con lui (ovviamente con l’aiuto di Roberto), dalla quale è venuto fuori questo articolo.
Per leggerlo si presuppone un background minimo sulla carriera di Zečević, che certamente aiuterebbe nella fruizione di queste righe. Tuttavia, se questo angolo non trascurabile della pallacanestro catanese vi è sfuggito, vi basti sapere che il signor Željko, oltre ad aver guidato il CUS Catania, ormai circa 18 anni or sono, ha raccolto esperienze cestistiche e di vita ovunque in giro per il Mediterraneo e territori adiacenti. Partendo dall’Egitto, passando dal Libano e dalla Romania, lasciando il segno in Marocco e continuando una carriera longeva, tutt’oggi, da CT della Guinea. Senza dimenticare che in Italia ha avuto la possibilità di lavorare con gente del calibro di Gigi Datome e Sasha Vujacic, da vice, rispettivamente in quel di Scafati e Udine, come abbiamo sottolineato in diretta. Ciò che mi sono chiesto è cosa rendesse così speciale questo allenatore. Parliamoci chiaro, qualcuno che riesce a lasciare un segno marcato in così tanti luoghi profondamente diversi (non lo dico io, bensì lo raccontano le testimonianze, Maurizio Grasso in primis) dev’essere davvero speciale. Restava solo da capire cosa lo rendesse così speciale, e, prendendomi un po’ di tempo, in seguito ad un’attenta riflessione, sono riuscito a comprenderlo.
Il suo modo di approcciarsi alla pallacanestro è indubbiamente la chiave, quella durezza serba mitigata e completata dalle tante esperienze mediterranee. I suoi quattro cardini di insegnamento della pallacanestro sono auto-esplicativi di ciò che imprime su un suo gruppo.
“Il mio stile di allenamento? Lo riassumerei in atletico, aggressivo, sorridente e piacevole.”
Quattro aggettivi che disegnano un quadro assolutamente unico, raccontato da un allenatore assolutamente unico. Una persona che, umanamente, mi ha affascinato per la sua essenza cestistica applicata alla vita di tutti i giorni, un vero tuttologo, con un background a tema palla a spicchi.
“La pallacanestro è cultura, oltre che stile di vita”
Questa è sicuramente la massima che condensa il significato di questa “intervista”, che ho sfruttato, nella seconda parte, per assorbire quanti più pensieri sul gioco possibili. Prima, però, mi sono voluto soffermare ulteriormente sulla visione del ruolo di allenatore, da parte di coach Zečević.
“L’allenatore in un gruppo deve essere visto come il capitano della barca. Io insegno un basket educato, che non vuol dire che non debba essere aggressivo, anzi.”
La posizione del coach come “capitano della barca” è un concetto che è stato affrontato anche durante la nostra ultima diretta, nella quale sono stati ricorrenti i riferimenti a Željko e alle sue idee avveniristiche. Delle espressioni semplici, espresse in modo conciso, che restano impresse nella mente di chi ascolta, con la giusta attenzione, un allenatore con un carisma differente. Esattamente come il suo basket, “educato” nella teoria, “aggressivo” nella pratica. Senza tralasciare quella punta di ironia che rifinisce i suoi discorsi in maniera adeguata, senza renderli eccessivamente pesanti, per questo Maurizio Grasso dice di “poterlo ascoltare per ore”.
“Per vincere in Italia ci vuole culo come pianeta Terra!”
Un qualcosa che probabilmente sarà passato anche nella testa degli allenatori ai vertici del nostro basket, che non hanno mai avuto la schiettezza di esternarlo. Tuttavia, tornando seri, ero interessato a marcare il filo conduttore della carriera di Zečević e in generale i cardini di un percorso come il suo. La risposta più o meno me l’aspettavo, sebbene, come sempre, i termini non sono stati scontati.
“Per me la comunicazione nel mio lavoro e la costruzione di un settore giovanile sono fondamentali. Cerco sempre di essere responsabile in quest’ambito.”
Dunque, mi è sembrato naturale chiedere quale fosse l’aspetto che generalmente è trascurato dagli allenatori non professionistici, riallacciandomi alla situazione catanese. Responso ermetico e diretto.
“Sicuramente la relazione con i giovani, che è essenziale.”
In seguito, come già anticipato, ho sfruttato la disponibilità del coach per approfondire alcuni aspetti globali del gioco. Nello specifico, ad un personaggio che sguazza da una vita nell’universo FIBA, non potevo che domandare dei grandi cambiamenti che la pallacanestro continentale ha subito nel corso della storia. Coach Zečević ha riassunto i punti salienti egregiamente.
“Per me i cambiamenti arrivati nel gioco sono dettati dall’avvento di quattro modifiche al regolamento:
- L’inserimento della linea del tiro da tre punti, arrivata a livello internazionale alle Olimpiadi di Los Angeles 1984.
- Le mutazioni ai cronometri secondari, ovvero 8 secondi invece che 10 per superare la metà campo e 24 secondi anziché 30 per concludere un possesso.
- Il riciclo a 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo che segue un tiro sul ferro.
- L’introduzione del terzo arbitro a sostegno della classica coppia.”
E su questo nulla da aggiungere, prendere appunti e basta. Virando sull’attualità, impossibile non cercare il parere di Željko sul fenomeno della serie-evento Netflix, “The Last Dance” (tra l’altro diventata la più vista in Italia di sempre), e sull’“allenabilità” di soggetti come Michael Jordan o Kobe Bryant.
“Michael e Kobe, come diceva Ettore Messina, non devi allenarli, si allenano da soli. Poi la morte di Kobe ha colpito tutti, io conoscevo personalmente Joe, mi dispiace molto. Erano molto simili (MJ e KB), entrambi non volevano perdere nemmeno a scacchi o a Mikado (Shangai, ndr)…”
Ancora, lanciandoci verso il futuro, l’ex CUS ci lascia una suggestione sui nuovi orizzonti del basket mondiale…
“I nuovi cambiamenti arriveranno quando il mondo africano avrà la possibilità di avere strutture e condizioni che gli permettano di produrre giocatori, allora il livello si alzerà ancora.”
Per concludere è inevitabile riportarvi un passo inerente all’assenza di basket di livello a Catania, sempre con un richiamo a quella Belgrado, che dovrebbe vedere da riferimento, come Coach Željko Zečević, una figura straordinaria, forse troppo poco ricordata e celebrata dagli appassionati catanesi.
“Il nostro è uno sport che coinvolge intere città. A Belgrado tutti sanno giocarci. Nel mio quartiere, ci sono tantissimi playground e campetti molto competitivi. Se vuoi giocare in un campo e non sei all’altezza, ti spediscono ad allenarti e ad imparare in un altro. Catania è una grande città e mi arrabbio perché mancano le strutture.”
Gaetano Gorgone
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