Era la domenica di Pasqua. Primavera già inoltrata, in quel 4 aprile del 1926. Milano non poteva cogliere occasione migliore per ospitare la prima partita ufficiale di una Nazionale italiana di basket. La clemenza del tempo le diede una mano, rendendo ideale la cornice entro cui collocare l’evento.
Italia-Francia segnava l’avvio dell’epopea azzurra. Una sfida, più che una amichevole, visto che di là dalle Alpi il basket aveva piantato un po’ prima le sue radici. Per cui la vittoria (23 a 17 il risultato finale) fece accendere anche la prima fiammella di patrio tifo cestistico da parte del buon pubblico presente.
Scenario della rappresentazione fu un cortile interno del Poligono del Tiro a Segno alla Cagnola, rione dell’allora periferia nord-ovest di Milano, oggi nei pressi del centralissimo Piazzale Accursio. Terreno di gioco in terra battuta – manco a dirlo – e per di più “livellato alla meglio”, secondo schietta cronaca dell’epoca.
L’istantanea della “palla a due” iniziale è lì a testimoniare tutto: giocatori in canotta e pantaloncini, come aria aperta quel giorno permetteva; spettatori accalcati ai bordi del campo, con posti a sedere… esauriti; lo sfondo Liberty di un’ala dell’edificio del “Poligono”; il terreno maculato da irregolarità e impronte.
La compagine azzurra – appellativo che ormai etichettava tutte le rappresentative nazionali, sulla scia del calcio – vestiva nella circostanza una maglia bianca con scudo crociato sabaudo sul petto; sicuramente una forma di riguardo per gli ospiti francesi, ai quali venne lasciata la precedenza di esibire il loro azzurro (forse più tendente al blu), col tipico distintivo del galletto. Sempre nella foto, di spalle, si riconosce l’arbitro (l’unico con maglietta a mezze maniche), che era l’italiano Augusto Vitali, un giocatore degli anni pioneristici. Qui una curiosità: si trattava di uno dei primi arbitraggi a due, e infatti era presente – per par condicio – anche il “fischietto” francese Beaupois. Solo che uno doveva dirigere, l’altro fungere da “sottoarbitro”; bastò alternarsi di ruolo nei due tempi di gioco per scongiurare ogni sospetto di partigianeria.
Dal giorno in cui alcuni appassionati si erano riuniti in una birreria (sempre a Milano) per dar vita alla Federazione Italiana Basketball, erano trascorsi meno di cinque anni. Dopo i primi tornei a livello cittadino e regionale, si era arrivati nel ’25 a una partecipazione “peninsulare”, da Torino a Roma, fino a Napoli. Ma in quella rappresentativa nazionale, messa su dal primo commissario tecnico, il milanese Marco Muggiani (già segretario della federazione), entrarono solo i lumbard, che erano ancora i migliori: quattro dell’ASSI Milano – la squadra già più volte campione d’Italia – uno della Comense. Cinque, non di più; giusto il numero dei giocatori ammessi in campo. Eccoli allineati in piedi nella seconda foto.
Proprio in quell’anno, il 1926, c’era stato il primo cambio di denominazione, e soprattutto di sede, della federazione. Da Federazione Italiana Basketball a Federazione Italiana Palla al Cesto; da Milano a Roma. Il regime fascista – pervaso da una politica di centralità e di italianizzazione – aveva voluto l’un cambiamento e l’altro. E sulla poltrona di presidente, fino allora occupata da Arrigo Muggiani (fratello maggiore di Marco), fece accomodare un militare, il Generale Ferdinando Negrini, che stabilì il suo quartier generale al Poligono di Tiro della Cecchignola. Guarda un po’ la combinazione “balistica” (con tanto di assonanza) tra le due città!
La spinta data alla propaganda (anche attraverso la pubblicazione di una rivista specializzata, “La Palla al Cesto”) fu subito evidente; ed è molto probabile che anche l’organizzazione del primo incontro della Nazionale rientrasse in questa strategia, o quanto meno si prestasse a essere sfruttata allo scopo. Negrini era là – come si può vedere ritratto nella terza foto – in rigida divisa militare e fez in testa; sorrideva compiaciuto in mezzo ai giocatori, mentre alle sue spalle il tabellone del punteggio (semicoperto) sanciva la vittoria dell’Italia sulla Francia. Il successo dell’iniziativa, a quel punto, poteva considerarsi pieno.
Più di un quotidiano, il giorno dopo, si espresse in toni trionfalistici, pur nei trafiletti che si potevano riservare a uno sport che muoveva ancora i suoi primi passi. Aveva “vinto una bella battaglia” la Nazionale italiana di “palla al cesto”, conquistando “l’attenzione e il favore degli sportivi”. I quali, magari, vedevano con occhi “calcistici” lo svolgersi delle azioni, gridando “goal” quelle (poche) volte che il pallone entrava dentro il canestro. Del resto, nella disposizione in campo, si parlava ancora di attaccanti e di difensori; e se la squadra di casa aveva avuto la meglio, lo era stato, da una parte, per la buona vena del trio d’attacco (Valera, Valli, Canevini), che con “fitti e precisi passaggi a mezza altezza” era riuscito a trovare nove “cesti al volo” e cinque “cesti da fermo” (totale, 23 punti), dall’altra, per le “tempestive entrate delle due guardie” Brocca e Ortelli (entrate difensive, guardie nel senso di guardiani), che avevano in buona parte neutralizzato i “passaggi alti e lunghi” della tattica adottata dai francesi.
Altre di cronaca. Due tempi di gioco da venti minuti. Parziale del primo: 12 a 6 per l’Italia. Secondo in perfetto equilibrio (11 a 11), grazie anche all’unica sostituzione dell’incontro, da parte della squadra francese. Palla a due iniziale (quella della foto), alle ore 14,15… Il banchetto di Pasqua, per i milanesi accorsi quel giorno al Poligono di Tiro alla Cagnola, si era ridotto – necessariamente – a un pranzetto frugale!
Nunzio Spina
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