Ci sono alcune partite che segnano un’epoca. Gli anni ’70 sono stati pieni di queste gare. Per la Nazionale italiana di calcio, c’è il famoso 4-3 sulla Germania. Per la Nazionale di basket, la sconfitta con il Brasile nella finalina mondiale del ‘78. Per il basket a Catania, i 16i di finale di Coppa Italia ’73 tra Sport Club e Ignis. Fu una sfida senza storia, finita 35-132, ma che piantò il seme del basket in città, galvanizzando chi giocava e avvicinando alla palla a spicchi una generazione di cestisti, molti dei quali ancora oggi sono impegnati nel movimento.
A far passerella, al PalaSpedini, i giganti del basket italiano della Pallacanestro Varese, in breve autori del triplete: 6º scudetto, 4ª Coppa Italia e 3ª Coppa dei Campioni sono finiti nella bacheca della società biancorossa. Una settimana prima della “gita” a Catania, èarrivata una sconfitta indolore nella semifinale europea contro i rivali dell’Olimpia Milano; la settimana successiva, i varesini di coach Aza Nikolić sbancheranno Liegi, conquistando il tetto d’Europa contro l’Armata Rossa del Cska. «Tecnicamente, s’incontrano la mosca e l’elefante», scrive l’“Espresso Sera” per presentare la sfida in Sicilia. Il pubblico risponde presente: malgrado i biglietti a 1.500 lire l’uno, oltre duemila spettatori accorrono al palazzetto.
«Io e i miei compagni abbiamo mille ricordi di partite importanti, finali di Coppe dei Campioni e scudetti, ma quella partita di Catania è stata particolare». A parlare è Marino Zanatta, ala di 198 cm, all’epoca 26enne. Il numero 8 dei biancorossi è anche capitano della Nazionale e giocatore carismatico, tanto che diventerà anche presidente della società. «Il prof. Nikolić era incredibilmente serio e severo: il fatto che dovessimo giocare una partita senza importanza a una settimana dalla finale della Coppa dei Campioni era uno sconvolgimento dei suoi piani. Vedeva ogni momento non giocato nel modo migliore come una perdita di tempo».
Scendere in Sicilia non è un giochetto: certo, in aereo è un viaggio veloce quasi come oggi, ma implica perdere appunto un prezioso giorno di lavoro in palestra. «Quella competizione – prosegue Zanatta – era organizzata coinvolgendo le squadre fino alla Serie D per portare la pallacanestro maggiore nei campionati minori, credo fosse giusto, anche se non c’era valenza tecnica». L’obiettivo, almeno all’ombra dell’Etna, sembra raggiunto, vista la cornice di pubblico.
«Ricordo grande entusiasmo a Catania e il palazzetto strapieno – narra il capitano azzurro –. Vinciamo la palla a due, sbagliamo il tiro, ma la palla la prende un giocatore piccolino che fa tutto il campo e realizza il canestro. Appena segna, becca una gran botta involontaria di Dino Meneghin. Rientra in difesa, gasato, ma si tiene la testa. Noi tiriamo da fuori e sbagliamo di nuovo. Il piccoletto prende di nuovo la palla, va a canestro, segna e riprende in testa una botta da Meneghin. A quel punto gli dice: “Ma che minchia e minchia! Sempre qui me lo dai!” Noi ci siamo sbellicati dal ridere. Nikolic ha visto che eravamo deconcentrati e s’è incazzato, ha chiamato il timeout. Poi abbiamo ripreso in mano la gara. Alla fine, il prof. ha fatto uscire gli spettatori e ci ha fatto allenare fino a tardi!»
Il “piccolino” di cui parla Zanatta è il play Pippo Famoso, nemmeno 20enne, che alla fine segna 13 punti, più tre che gli vengono applicati in testa dopo i colpi subiti da Meneghin. Lui, di gomitate, ne ricorda una sola. Ma fatto sta che anche questa leggenda entra nella storia dello Sport Club Catania, società che poi per molti anni avrebbe rappresentato la città in giro per l’Italia e la Sicilia, fino alla scomparsa nel 1986. Dalle sue ceneri, è nato l’odierno Sport Club Gravina.
«Eravamo una squadra che doveva vincere – chiude Marino Zanatta –, infatti ci ricordiamo più le cinque finali di Coppa dei Campioni perse che le altrettante finali vinte. Tutti i carichi di lavoro erano finalizzati alla vittoria. Anche per questo, ci ricordano dovunque, abbiamo segnato un’epoca, c’era attesa e voglia di conoscerci perché pensavano fossimo marziani. In Sicilia, c’era spesso del bel basket ma soprattutto in estate, ai tornei di Mondello e Piazza Armerina, dove le squadre del Nord scendevano per giocare contro le selezioni americane di McGregor. C’era un altro clima attorno allo sport».
Roberto Quartarone
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