La prima vittoria sugli Usa a Lubiana ’70… La sconfitta con il Brasile… I semi di Atene e Saitama… «In Cina lotteremo su ogni pallone»…
Abbiamo ancora una volta affidato alle parole del presidente della FIP, Gianni Petrucci, l’epilogo della nostra Storia dei Mondiali di basket, così come avvenuto due anni fa per gli Europei. Dal 1970 a oggi, Petrucci ha praticamente vissuto tutte le edizioni della manifestazione intercontinentale, nei diversi ruoli ufficiali che ha rivestito: segretario generale della FIP, presidente della FIP (per quattro mandati), presidente del CONI. A lui abbiamo rivolto alcune domande, invitandolo a scavare nei suoi ricordi (dai quali sono riemersi aneddoti ed emozioni) e a svelare propositi e speranze per l’imminente avventura della nostra Nazionale in Cina.
- Qual è il ricordo del primo Mondiale che ha seguito, anche da lontano attraverso gli organi di stampa?
«Sicuramente il Campionato del Mondo di Lubiana del 1970. All’epoca lavoravo nella Segreteria Generale del CONI: sia per interesse personale sia per interesse professionale, seguivamo i risultati di tutti gli sport. L’Italia arrivò quarta, in quel momento la migliore prestazione di tutti i tempi, ma ricordo soprattutto il fatto che battemmo gli Stati Uniti per la prima volta con il famoso gancio di Renzo Bariviera. Una grande soddisfazione e un segnale preciso: la nostra pallacanestro si stava affermando in campo internazionale».
- Quali i ricordi dei Mondiali vissuti in qualità di Segretario generale della FIP, di Presidente della FIP e di Presidente del CONI.
«Tre edizioni del Campionati del Mondo, tre momenti diversi della nostra storia, ma anche tre approcci diversi per me. Al Mondiale di Manila, io giovane Segretario Generale, mi sono ritrovato a dialogare con vere e proprie icone della nostra pallacanestro, che negli anni settanta aveva avuto un importante boom. Avevo un timore reverenziale per Dino Meneghin, ad esempio. Quello di Manila fu un vero peccato perché perdemmo la medaglia di bronzo per una nostra disattenzione. Oggi, in tre secondi, tutti sanno che si può vincere o perdere una partita. Noi lo imparammo quel giorno. Era il 14 ottobre, nella finale per il terzo posto Marco Bonamico segnò a tre secondi dalla fine portando l’Italia in vantaggio (85-84). Qualcuno comincia a festeggiare, ma Marcel De Souza in pochi palleggi supera la metà campo e in terzo tempo da otto metri tira e… segna. Suonò la sirena, perdemmo la partita per 85-86 insieme alla medaglia di bronzo.
Ad Atene nel 1998 era il primo anno dell’era Tanjevic. In quell’edizione nacque la squadra che avrebbe vinto l’oro l’anno successivo al Campionato d’Europa. Come Presidente ero al centro non solo di tutte le decisioni, ma anche di ogni emozione. Lì nacquero i primi dissapori fra Tanjevic e Gianmarco Pozzecco e… tanti retroscena che non rivelerò mai. Ma nacque anche un feeling all’interno della squadra che sarebbe stato capitalizzato l’anno successivo.
Quello del 2006 l’ho seguito dall’Italia. Ero Presidente del CONI, ma ero pronto a partire se… Insomma quando Gianluca Basile ha avuto i tre tiri liberi, tre punti sotto ad un secondo dalla fine, contro la Lituania… Beh, come tanti Italiani ho pensato che saremmo andati ai supplementari. Gianluca, uno dei migliori tiratori italiani di sempre, sbagliò e… uscimmo agli ottavi e non partii per il Giappone. In quel Mondiale, però, ha brillato per la prima volta a livello internazionale la stella di Marco Belinelli. Basta questo a dire che è un Mondiale da ricordare».
- Quale altra Nazionale azzurra che in passato non è riuscita a partecipare al Mondiale avrebbe meritato di esserci?
«Sarebbe ingeneroso, da parte mia, indicare una Nazionale piuttosto che un’altra. Tutte l’avrebbero meritato per l’esperienza agonistica, tecnica e umana che consegue ad un Mondiale e per l’impegno profuso. Un impegno uguale per tutte, che però non ha dato gli stessi risultati».
- La Nazionale azzurra torna al Mondiale dopo tredici anni: quale significato per il basket italiano?
«Altissimo, direi. Intanto abbiamo dimostrato che siamo una squadra vera, in ogni occasione. Il CT Romeo Sacchetti è riuscito a far bene anche senza poter contare sugli stessi giocatori in ogni finestra e ha creato un gruppo allargato, oltre i dodici, dove ognuno, ogni volta che era chiamato a giocare, dava il suo meglio ed anche di più, nell’interesse della squadra. L’importanza del Campionato del Mondo è cresciuta in questi ultimi anni. Il Mondiale in Cina qualificherà direttamente 7 squadre ai Giochi Olimpici e altre sedici al Torneo Preolimpico. Avrà un’eco mondiale e, come dico spesso, nulla è più importante che giocare con la maglia azzurra e per il tuo pass, con tutto il rispetto per le altre competizioni».
- Quale il suo pensiero sui giocatori italiani NBA, o in forza ad altri club stranieri, che non hanno preso parte alla qualificazione.
«É mancato un dialogo fra le istituzioni sportive, fra FIBA e ULEB, e i giocatori sono rimasti coinvolti in questa lotta di potere. La FIP non poteva non schierarsi che dalla parte della FIBA, da cui è riconosciuta e ne condivide le finalità. Sono grato all’AX Armani Exchange Milano che ha agito con buon senso concedendo i giocatori alla Nazionale ogni volta che è stato possibile».
- Con quali aspettative si va in Cina?
«Sono famoso per mettere pressione a tutti. D’altronde il Presidente di una Federazione come quella del basket non può accontentarsi di partecipare e basta. Andiamo per qualificarci ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020, direttamente o attraverso il girone del 2020. Il podio? Beh, siamo lì, lotteremo su ogni pallone, in ogni partita, sentiamo che quando indossi la maglia azzurra nessun obiettivo può essere precluso. Siamo pronti».
A cura di
Redazione Basket Catanese
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