Il pregio del coraggio, anche contro i campioni USA… L’atmosfera stimolante del Giappone… Una Nazionale animata dal sacrificio…
Stefano Mancinelli è nato a Chieti, il 17 marzo 1983. Non aveva ancora raggiunto la maggiore età, quando la Fortitudo lo prelevò dai campetti della città natale, facendogli proseguire a Bologna l’iter dei campionati giovanili. Esordio in serie A nell’aprile del 2001; da allora, nove stagioni in maglia bianco-blu, con la conquista di uno scudetto e di una Supercoppa italiana, quest’ultima in veste di capitano. Costretto ad allontanarsi per la crisi economica della società, ha disputato poi tre campionati a Milano, con l’Olimpia, e altrettanti a Torino, dopo un fugace passaggio a Cantù. Il destino aveva previsto il suo ritorno in casa Fortitudo e – con lui ancora capitano – quello della squadra nella massima serie, in virtù della brillante promozione conquistata nella stagione appena conclusa. Alto 2 e 03, molto ben dotato atleticamente, Mancinelli è un mancino “all around” che ha nel controllo di palla e nel passaggio (spettacolare l’esecuzione degli assist) i suoi fondamentali migliori. In Nazionale è stato coach Recalcati a farlo esordire, durante la preparazione per le Olimpiadi di Atene 2004. Ha partecipato agli Europei del 2005, ai Mondiali in Giappone del 2006, agli Europei del 2007 e a quelli del 2011 (questi ultimi con Simone Pianigiani in panchina). Diventato capitano anche in maglia azzurra, è il terzo giocatore con maggior presenze (146) tra quelli ancora in attività (dopo Datome e Aradori).
«La prima cosa che mi viene in mente, ripensando al Mondiale in Giappone? L’impatto con i grandi giocatori USA! Ma non in campo, in albergo… Eravamo in ascensore, io, Belinelli e Basile; all’apertura delle porte, sono apparse davanti a noi le figure di Carmelo Anthony, LeBron James, Dwyane Wade e Dwight Howard! Loro in canotta, e muscoli in bella evidenza; noi con le nostre semplici polo… Li abbiamo guardati come se fossero degli alieni, e ci siamo sentiti più piccoli di quanto in realtà eravamo… Questa almeno la sensazione che ho avuto io; era la prima volta che mi trovavo a tu per tu con i prof NBA. Cominciai a pensare che per affrontarli in partita sarebbe stato meglio superare quel complesso di inferiorità ed essere più freddi…».
«In effetti così è andata… Dopo aver vinto in maniera esaltante le prime tre partite del girone di qualificazione, abbiamo giocato a viso aperto anche contro gli Stati Uniti, e poco c’è mancato che procurassimo loro un bel dispiacere… Se un pregio aveva quella nostra Nazionale era proprio il coraggio che mostrava in campo, tutto l’opposto della reazione avuta da noi all’uscita da quell’ascensore… Il nome e la forza degli avversari statunitensi, anzi, ci ha dato una carica maggiore, e direi che tutti noi abbiamo fatto la nostra bella figura (Mancinelli, 16 minuti giocati, 12 punti realizzati, n.d.r.)…».
«Il Mondiale del 2006, per il sottoscritto, segnava il debutto in una manifestazione intercontinentale, dopo che ero andato vicino alla convocazione per le Olimpiadi di Atene di due anni prima… Per essere la prima volta, non potevo trovare di meglio che un paese come il Giappone… Terra incantevole, ricca di storia e di modernità; un’atmosfera davvero stimolante, che secondo me ci ha aiutato a giocare col giusto stato d’animo, direi in maniera quasi spensierata… Ho un po’ di nostalgia di quei luoghi, anche di certe abitudini; mi fa rabbia pensare che allora non riuscivo neanche ad avvicinarmi al sushi, che là ti propinavano in tutte le maniere, e invece adesso ne sono diventato ghiottissimo…».
«Il nono posto finale non ha reso affatto ragione dei meriti della nostra squadra… Quattro vittorie e la sola sconfitta con gli USA nel girone di Sapporo; ricordo soprattutto la partita contro la Cina del gigante Yao Ming, che contro di noi fece tanti canestri (30 punti, n.d.r.), ma ne avrebbe potuto fare molti di più se Richard Mason Rocca, che gli arrivava più o meno alla pancia, non gli avesse fatto sentire i suoi gomiti… Poi, però, è capitato a Saitama lo scontro da dentro o fuori con la Lituania, partita a dir poco sfortunata: nel finale di quella partita, la vittoria ci è sfuggita di mano non so quante volte. Peccato! Coach Recalcati, secondo me, aveva allestito una Nazionale molto bene assemblata, tra la componente un po’ più esperta, di cui facevo parte io, e quella degli esordienti: tutti animati dalla voglia di sacrificarsi, ma anche di non perdere l’occasione per mettersi in mostra… Io credo che, al di là del risultato, siamo riusciti a creare un certo entusiasmo tra i nostri tifosi, anche se alla fine tutti speravano che l’avventura potesse continuare ancora per un po’…».
a cura di
Nunzio Spina
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