Il primo impegno importante… Il rinnovamento di Gamba… Tutti ricordi positivi, a parte il Brasile… «Una squadra che non si è mai abbattuta»…
Davide Pessina è nato ad Aosta, il 7 febbraio 1968. Messosi in luce con la squadra della sua città nel campionato cadetti, venne presto corteggiato dalla vicina Torino, dove approdò all’età di 16 anni e in quattro stagioni ebbe l’opportunità di maturare alla scuola di altrettanti maestri: Dido Guerrieri, Mario De Sisti, Federico Danna e Gianni Asti. Il primo trasferimento all’Olimpia Milano fu subito coronato dallo scudetto, nell’89; quindi due stagioni a Cantù, con la Coppa Korac nel ’91, e bis di Korac nel ’93 a Milano, dove rientrò per quattro anni. Seguirono le esperienze a Treviso, Roma, Biella e Siena. Precursore delle attuali power-forward (il cosiddetto “4”, ala grande), si distingueva nella capacità di fronteggiare il canestro e scoccare un tiro morbido dalla media distanza; la sua solida stazza, 2 e 06, era bene a servizio anche della difesa e dei rimbalzi. Esordio in Nazionale maggiore in una amichevole con la Cecoslovacchia nell’87 (convocato da Bianchini), ma la sua vera avventura in azzurro è concentrata tra il ’90 (Goodwill Games e Mondiali in Argentina) e il ’91 (Europei di Roma). Oggi, come noto, è un apprezzato commentatore televisivo.
«Ricordare i Mondiali del ’90 in Argentina vuol dire rivivere la grande emozione del mio primo impegno importante con la maglia azzurra, ma anche il dispiacere di avere rimediato un misero nono posto pur perdendo una sola partita! Non riuscimmo a capacitarci, allora, di una beffa del genere; io faccio fatica ancora adesso ad accettarla… Abbiamo compromesso tutto con la prima partita, quella persa malamente col Brasile; non siamo stati in grado di contrastare il loro potenziale d’attacco, specie nei tiri da fuori, e quel passivo finale (125 a 109, n.d.r.) ci è costato l’eliminazione per differenza canestri… Diciamo che non eravamo ancora entrati nel giusto clima partita; anche perché abbiamo dovuto fare i conti con lo spietato tifo contro di noi degli argentini, che volevano vendicare i famosi fischi indirizzati a Maradona e compagni nei recenti Mondiali di calcio in Italia…».
«Se cancelliamo quella sconfitta col Brasile, non restano che belle immagini. Non solo per il fatto che da lì in avanti abbiamo vinto tutte le partite (anche se bisogna ammettere che alcuni avversari erano di modesta levatura), ma per la determinazione con cui la squadra ha sempre giocato, fino all’ultimo… Era una Nazionale giovanissima, la nostra; otto su dodici praticamente debuttanti, compreso il sottoscritto… C’era grande entusiasmo, una voglia matta di farsi valere, di ricambiare la fiducia del nostro coach Sandro Gamba, che era stato costretto a rinunciare a molti titolari… Del resto, quasi tutti noi giovanissimi avevamo iniziato con Gamba, proprio in quell’estate, un percorso che dall’Under 21 ci aveva portato ai Goodwill Games di Seattle, fino ai Mondiali in Argentina… Tra noi c’era spirito di gruppo, e devo dire che gli “anziani” (Riva, Magnifico, Dell’Agnello, Bosa) ci hanno aiutato molto…».
«Il fatto di non avere incontrato le prime quattro squadre classificate ha certamente reso meno onorevole il nostro bilancio di sette vittorie su otto incontri, ma è stato più pesante il rammarico di non avere avuto la possibilità di incontrare squadroni come la Jugoslavia (dove c’erano giocatori del calibro di Drazen Petrovic, degli stessi Kucoc e Divac che sfidavamo già dalla categoria cadetti), come l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti (che in quel torneo lanciarono gli ancora universitari Alonzo Mourning, Kenny Anderson, Christian Laettner)… Che bello sarebbe stato affrontare questi campioni, anche a costo di prendere batoste (e non è detto che le avremmo prese!)…».
«Personalmente sono rimasto abbastanza soddisfatto della mia prestazione (secondo miglior realizzatore della squadra dopo Riva, n.d.r.), pur avendo avuto qualche alto e basso… Però mi piace più parlare della prova di squadra; penso che il nostro merito principale sia stato quello di non abbatterci nel morale dopo la sfortunata eliminazione; sentivamo il dovere di dare tutto, sia che giocassimo contro la Corea del Sud che contro la Spagna: arrivare noni era sempre meglio che decimi, e poteva andare anche peggio… Abbiamo imparato tanto in quei giorni, nel bene e nel male, e sicuramente là in Argentina si sono poste le basi per la rinascita della Nazionale, che l’anno dopo, con qualche innesto importante, avrebbe vinto l’argento agli Europei di Roma…C’era ancora Gamba in panchina, un allenatore al quale sono estremamente legato e rimarrò sempre grato; e per fortuna c’ero anch’io…».
a cura di
Nunzio Spina
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