Ricca carriera… L’ultima esperienza del capitano… Una delle Nazionali migliori… Il gancio con gli Usa e la presa in giro di Meneghin… Grandi emozioni…
Renzo Bariviera è nato a Cimadolmo, in provincia di Treviso, il 16 febbraio del 1949. Esordio in Nazionale in un Italia-Austria, partita di preparazione agli Europei del ’69 a Napoli, a cui poi prese parte. Da allora, altri quattro Europei, due Olimpiadi e due Mondiali (Lubiana ’70 e Manila ’78), per un totale di 210 presenze (sesto posto nella graduatoria azzurra) e 2.193 punti (quinto). Sempre convocato dal C.T. Giancarlo Primo, col quale ha condiviso due bronzi europei. Con i suoi due metri di altezza e i suoi lunghi fasci muscolari, si è distinto in vari ruoli, possedendo un vasto repertorio, sia nel gioco d’attacco (tiro dalla distanza, gancio, penetrazione), sia difensivo (anticipo, rimbalzi). Nel ’69 si è iniziata pure la sua lunga avventura con l’Olimpia Milano, suddivisa in una prima fase di sei stagioni (uno scudetto e due Coppe delle Coppe) e in una seconda a fine carriera (due scudetti e una Coppa Korac). In mezzo, esperienze a Forlì, Bologna (Gira) e soprattutto Cantù, dove oltre a due scudetti e due coppe delle Coppe, ha conquistato anche due Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale.
«Manila ’78 è stato un momento cruciale per la nostra Nazionale, e soprattutto per il nostro allenatore Giancarlo Primo. Si pretendeva da lui la prima medaglia in un Mondiale, dopo le varie occasioni in cui, nelle recenti manifestazioni, era sfuggito il podio per un canestro subìto allo scadere… Non è bastato essere arrivati ancora una volta vicino, vicinissimo, al bronzo; su quel quarto posto, purtroppo, si è cominciata a tessere la trama del suo avvicendamento, che sarebbe poi arrivato l’anno dopo…»
«Peccato, perché quella che si è presentata a Manila era una delle Nazionali più forti degli ultimi tempi, almeno secondo me. Primo aveva saputo rinnovare il gioco e inserire via via gli uomini giusti… Certo, non eravamo ancora a livello della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica, contro cui anche allora non c’è stato nulla da fare, ma alle loro spalle ci siamo arrivati; poi è stata questione di un canestro… Fosse andato fuori il tiro disperato di Marcel, la storia avrebbe preso un’altra strada…»
«Allora non sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima apparizione con la maglia azzurra: il tempo quindi non ha fatto che accrescere il rammarico personale… Si può dire che ero nel pieno della mia maturità cestistica; in Nazionale avevo il ruolo di capitano, e credo di avere anche disputato un buon campionato a Manila (miglior marcatore della squadra, con 15,8 di media, n.d.r.)… Sì, ci stava bene una medaglia per chiudere in bellezza, ma il bilancio dei miei Mondiali, con due quarti posti, è stato sicuramente positivo…»
«Lubiana ’70? Non so quante volte mi sono sentito chiedere del mio famoso gancio che allora ci ha permesso di battere per la prima volta gli Stati Uniti… Di come l’ho escogitato, di quello che ho provato subito dopo… Allora come adesso, vi dico che per me è stata un’azione normalissima, e così pure la reazione che ho avuto… Erano gli ultimi trenta secondi di gioco o poco più; loro avevano pareggiato mettendo a segno solo uno dei tiri liberi a disposizione; palla nostra, è stata un’azione lunghissima, a un certo punto su un nostro tentativo sbagliato c’è stato un salvataggio miracoloso di Flaborea dal fondo che ci ha permesso di mantenere il possesso; eravamo ormai al limite del tempo quando mi sono visto passare la palla da Giorgio Giomo, mentre tagliavo appena fuori l’area: ho fatto la cosa più naturale e istintiva, cioè tirare subito a canestro in gancio, e la palla è andata dentro… Tornato a metà campo, ho visto tutti i miei compagni esultare, impazziti di gioia, e io lì tranquillo, quasi non riuscivo a rendermi conto… Chissà, forse c’era l’incoscienza dei miei 21 anni; fatto sta che Dino Meneghin, per questo mio comportamento, mi ha preso in giro per non so quanto tempo…»
«Comunque, a parte quella vittoria sugli Stati Uniti, il Mondiale di Lubiana è tutto da ricordare… Se non sbaglio, siamo stati lì lì per battere anche i soliti squadroni della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica; non ci sentivamo inferiori a nessuno… Giancarlo Primo aveva formato davvero una grande squadra, senza individualismi, ma con una forza di gruppo che nessun’altra avversaria aveva… Era il frutto di una preparazione dura e meticolosa, portata avanti attraverso diversi stage nel corso dell’anno, come se ci trovassimo in una formazione di club… Quel Mondiale ha rappresentato la mia prima vera affermazione con la maglia azzurra: forse non la esternavo, ma l’emozione che ho provato è stata grandissima…»
a cura di
Nunzio Spina
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