Predicatore di basket e religione… Pioniere: un europeo al college Usa… Le infinite medaglie… Croce e delizia del tifo italiano…
Aveva un credo religioso e uno cestistico. Li professò entrambi con la tenacia della sua mente e la leggerezza del suo animo, noncurante di tutto ciò che di convenzionale gli offriva l’ambiente esterno. Per la Chiesa mormone fu solo un discepolo famoso, più di tanti altri; per il basket slavo – ma diciamo anche europeo e mondiale – l’inventore di una nuova concezione del gioco. Un pivot alla Kresimir Cosic, si diceva, per dire di un lungagnone ossuto, che era in grado di addomesticare e passare la palla come un play, tirare da fuori come un esterno, catturare rimbalzi come un gigante tutto muscoli. Come lui, difficile trovarne prima.
Era nato a Zagabria nel ’48, ma da piccolo si era trasferito con la sua famiglia a Zara, dove restavano ancora tracce di italianità nel periodo postbellico. Il suo primo allenatore si chiamava Enzo Sovitti, e fu lui a intravedere qualità particolari in quel fisico di 2 metri (sarebbe arrivato a 2 e 09), così magro da indurre i compagni a soprannominarlo “Auschwitz”; che non era proprio il massimo della simpatia, ma già da allora non si curò degli altri, se è vero che a 17 anni vinse il primo dei suoi sei titoli nazionali con lo Zadar.
Concluso questo lungo ciclo – e di anni ne aveva ancora 23 – fece una cosa assolutamente fuori dal comune, per quei tempi e per un paese come la Jugoslavia. Prese armi e bagagli e si trasferì negli USA, per giocare e studiare nel college della Brigham Young University. Fu là che venne folgorato dalla dottrina dei mormoni, e nel mentre affinò la sua tecnica cestistica, tanto che i Portland Blazers e i Los Angeles Lakers avrebbero fatto carte false per trattenerlo in NBA. Ma lui niente. In Jugoslavia voleva tornare e continuare a vestire la maglia del suo paese.
Furono proprio i Mondiali a segnare il suo debutto in Nazionale, nel ’67 a Montevideo. Da allora altre tre partecipazioni consecutive, con un’alternanza di due medaglie d’argento e due d’oro, per due volte inserito nel miglior quintetto (nel ’70 a Lubiana e nel ’78 a Manila). Pioggia di medaglie (dieci, e quasi tutte d’oro e d’argento) anche nelle sue quattro partecipazioni alle Olimpiadi e nelle sette agli Europei. Ci fu tempo anche per due medaglie di bronzo da allenatore della Jugoslavia (Mondiali dell’86 in Spagna, Europei dell’anno dopo in Grecia), poco prima che la guerra civile disgregasse la nazione.
Croce e delizia per il pubblico italiano. Con lui in campo la Nazionale azzurra non riusciva a vincerne una. Ma i tifosi della Virtus Bologna benedissero il suo arrivo nel nostro campionato: due stagioni, due scudetti, tra il ’78 e l’80. E ci sarebbe stato anche un gradito ritorno come allenatore, sette anni dopo.
Quando il 25 maggio del ’95 rimbalzò da Baltimora la notizia della sua prematura morte, a soli 46 anni (era diventato vice-ambasciatore della Croazia negli USA), lo piansero tutti, anche gli ex avversari. Addio “Kreso”, predicatore di basket, di dottrina… e di pace!
Nunzio Spina
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