Le imprese: vittorie e anche sconfitte… Il tributo a Stankovic… L’idea di pallacanestro di Primo… Il mondiale in Uruguay…
Carlo Recalcati è nato a Milano, l’11 settembre 1945. Ha vestito per la prima volta la maglia della Nazionale nel maggio del 1967, a Napoli, in un torneo di preparazione ai Mondiali in Uruguay, che rappresentarono per lui la prima manifestazione ufficiale. Paratore lo confermò poi ai Giochi del Mediterraneo e agli Europei dello stesso anno, e alle Olimpiadi di Città del Messico dell’anno dopo. Rimasto nella rosa con l’avvento di Primo, ha partecipato da giocatore ad altri tre Europei, al Mondiale di Lubiana del ’70 e alle Olimpiadi di Montreal del ’76. Nato cestisticamente come play-maker, si è poi spostato verso il ruolo di guardia, che ha esaltato ancor più le sue qualità di tiratore dalla distanza, con esecuzione veloce e spesso imprevedibile. Diciassette stagioni di militanza a Cantù, vincendo due volte lo scudetto, tre la Coppa Korac, tre la Coppa delle Coppe, una la Coppa Intercontinentale. La successiva carriera di allenatore gli avrebbe regalato altri titoli e lo avrebbe riportato in azzurro.
«Un Mondiale di altissima qualità, quello di Lubiana del ’70; e avere raggiunto il quarto posto è stato un risultato di grande prestigio per la nostra Nazionale, direi – senza esagerazione – al pari di qualche medaglia conquistata in altre occasioni… L’impresa più grande, che molti ancora hanno davanti agli occhi, fu la vittoria sugli Stati Uniti, ma io vorrei ricordare anche le sconfitte di misura con le squadre che salirono sul podio, di 3 con la Jugoslavia, di 1 dopo due tempi supplementari col Brasile, di 4 con l’Unione Sovietica: anche quelle furono vere imprese…».
«Personalmente, giocare in Jugoslavia è una cosa che mi ha sempre stimolato molto, fin dai tempi in cui, da giovanissimo, vi avevo disputato il mio primo torneo all’estero, a Zagabria… Poi, a inculcarmi il modello cestistico slavo (e a farmene innamorare) è stato Bora Stankovic, quando per alcuni anni, dal ’66 al ’69, era venuto ad allenare a Cantù: se il mio tiro da fuori si è fatto apprezzare per stile e imprevedibilità, lo devo a lui… Potete quindi immaginare quale soddisfazione abbia provato nella partita contro la Jugoslavia, dove ho messo a segno un bel po’ di canestri dalla distanza (22 punti, n.d.r.), davanti a grandi campioni, come Ivo Daneu, che era stato sempre il mio idolo… Contro di loro avevo uno spirito di emulazione, ma anche di competizione, che mi rendeva tutto più facile… E quella volta stavamo per procurare loro un bel dispiacere…».
«Quanti fuoriclasse in quel Mondiale! A parte la Jugoslavia, potrei citare Paulauskas, Sergej Belov e Zarmuchamedov dell’URSS, o Wlamir e Ubiratan del Brasile; pensare che a Ubiratan, detto Bira, diedi un passaggio con la mia macchina al ritorno in Italia, dove eravamo stati invitati entrambi a disputare un torneo con la maglia della Snaidero; feci di tutto per convincerlo a venire a giocare a Cantù nel nostro campionato (a quei tempi ci si doveva adattare a fare anche da procuratori); a lui piaceva l’Italia, ma scelse Venezia, e giocò con la Reyer…».
«La nostra Nazionale fece un bel Mondiale, e a Giancarlo Primo, che era stato molto criticato per il sesto posto agli Europei di Napoli del ’69, vennero riconosciuti i giusti meriti. La sua idea di pallacanestro, con tanta difesa e gioco ragionato, cominciò proprio a Lubiana a dare i primi frutti…».
«Da giocatore, avrei un altro Mondiale da raccontare, quello in Uruguay dell’edizione precedente (che per noi in realtà fu più in Argentina che in Uruguay). Io ero praticamente un debuttante, giovane tra tanti giovani, con pochi veterani in campo. Uno di questi era Dado Lombardi, che devo ancora ringraziare per come mi aiutò a superare lo scotto del noviziato; ricordo che nella prima partita giocata a Cordoba, nel girone di consolazione, vincemmo largamente col Paraguay, e lui – che era rinomatamente un individualista – mi diede la possibilità di andare in doppia cifra (16 punti, n.d.r.), cedendomi molti dei suoi palloni giocabili…».
«Anche allora fui colpito dal livello di gioco degli avversari, anzi ne restai ancora più impressionato, data l’età più giovane… Per esempio, mi sorpresero molto i cestisti messicani (Raga e non solo lui) che erano davvero dei super atleti… Furono loro i primi a farci capire l’importanza della preparazione atletica nel basket, e in particolare della ginnastica isometrica…».
«Altri ricordi… L’asado! La carne alla brace la cucinavano proprio là, a ridosso del rettangolo di gioco a Cordoba, che era praticamente all’interno di un grande mercato: finita la partita, sentivi il profumo ed era facile farsi tentare… Devo dire però che il nostro mitico Adolfo Crispi (un factotum più che un massaggiatore) non ci faceva mancare nulla della cucina italiana, portandosi dietro di tutto, soprattutto gli spaghetti e il caffè, rigorosamente preparato – lui che era di Ischia – con la cuccuma napoletana…».
a cura di
Nunzio Spina
Lascia un commento