Il miglior risultato… L’affermazione della scuola italiana difensiva… La videocassetta di Italia-Usa… Il campo di mattonelle… La festa rovinata…
Massimo Cosmelli è nato a Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno, il 6 agosto 1943. Esordio in Nazionale ai Giochi del Mediterraneo di Napoli, nel settembre del ’63 (medaglia d’oro). Da allora una presenza costante con la maglia azzurra: tre Europei (’63,’65,’67), un Mondiale (Montevideo ’67) e una Olimpiade (Città del Messico ’68) con Nello Paratore in panchina; due Europei (’69 e ’71) e un altro Mondiale (Lubiana ’70) col successore Giancarlo Primo (guadagnando anche il ruolo di capitano). Play-maker di 1,80, aveva nel contropiede e nel tiro da fuori le sue armi migliori; col tempo, ha affinato di più quelle da difensore e da regista, facendo segnare tanto i lunghi. Ha militato con Libertas Livorno, Virtus Bologna, All’Onestà Milano, Udine e Siena, prima di intraprendere una lunga carriera di general manager.
«Quello di Lubiana ’70 è stato il Mondiale che, dei due da me disputati, mi ha senz’altro procurato maggiori soddisfazioni; e sicuramente anche uno dei migliori, se non il migliore, per la nostra Nazionale. Il quarto posto finale è stato davvero un grande traguardo, e il fatto di averlo conquistato dopo avere sconfitto per la prima volta gli Stati Uniti ha dato maggior valore al risultato…».
«Alla fine la nostra è stata premiata come la migliore difesa del torneo, cosa molto gratificante, almeno per me… Sappiamo tutti che questa era una precisa filosofia del tecnico Giancarlo Primo, e in quel Mondiale l’abbiamo assimilata e messa in atto in maniera molto efficace. Se andiamo a rivedere i punteggi delle squadre avversarie, credo che quasi a nessuno abbiamo permesso di superare i 70 punti (66 la Jugoslavia, 64 gli USA, 62 l’URSS, n.d.r.). Ecco, vedere riconosciuta da tutti questa nostra capacità è stato come constatare l’affermazione di una “scuola italiana”…».
«Giocavamo contro autentici squadroni, e con tutti ci siamo battuti alla pari. A cominciare dal Brasile, che per la verità ci ha sconfitto due volte, ma la prima volta, nella partita di esordio a Spalato, abbiamo ceduto solo dopo due tempi supplementari; loro alla fine vinsero l’argento… Poi rendemmo cara la pelle anche alla Jugoslavia di Cosic e all’Unione Sovietica di Sergej Belov, che si aggiudicarono l’oro e il bronzo: insomma, si può dire che siamo stati a livello di podio…».
«La più bella partita, ovviamente, è stata quella vinta con gli Stati Uniti; ho ancora la video-cassetta conservata… Mi ricordo che iniziai perdendo una palla, ma poi mi rifeci subito, e credo che quella risultò la mia migliore prestazione del torneo… Come del resto lo fu quella di tutta la squadra, una gara perfetta fino all’ultimo, fino al memorabile gancio di Renzo Bariviera…».
«Ricordo invece con più tenerezza il Mondiale precedente, del ’67 in Uruguay… Non ero ancora nel quintetto base, Paratore mi alternava nel ruolo di play maker con Pellanera, ma già da quattro anni ero titolare in pianta stabile… Paratore era un tecnico preparato, ma soprattutto dotato di una umanità incredibile, mi sentii a mio agio con lui fin da quando mi fece debuttare… Cercava sempre giovani da provare e da inserire nella formazione, e quella volta in Uruguay ne convocò tanti, anche perché c’erano poi in programma i Giochi del Mediterraneo a Tunisi e gli Europei a Helsinki; e l’anno dopo le Olimpiadi di Città del Messico, l’appuntamento al quale teneva di più…».
«In Uruguay non ce la cavammo male, ma il divario con le altre squadre era decisamente più ampio… Perdemmo di una decina di punti (che non era tanto!) con gli Stati Uniti e la Jugoslavia, nel girone di qualificazione a Mercedes, su un terreno di gioco in linoleum, o qualcosa del genere… In compenso le partite della seconda fase le disputammo su un terreno di mattonelle (sic!), a Cordoba, in Argentina, dove per fortuna c’era qualcuno della comunità italiana che faceva il tifo per noi… Riuscimmo ad accontentarli vincendo diverse partite, ma non a chiudere in bellezza: ci toccò affrontare per la seconda volta il Messico, e quella volta sembrava che ce l’avessimo fatta; avevo segnato venti punti in quell’incontro, ma poi arrivò Manuel Raga con quel canestro impossibile all’ultimo secondo a rovinarci (e a rovinarmi) la festa…».
a cura di
Nunzio Spina
Vedi anche:
Europei di basket: Napoli 1969. Il ricordo di… Massimo Cosmelli
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