L’allargamento a 24 squadre salva gli Azzurri… Un girone difficilissimo… Le stelle europee lontanissime dagli Azzurri…
Era destinata a restare fuori dall’Europeo per la seconda volta consecutiva, l’Italia, se la FIBA non avesse disposto – all’ultimo momento – di anticipare l’allargamento a 24 squadre, già programmato per l’edizione del 2013. Il salvagente veniva lanciato nel mare agitato in cui la Nazionale azzurra cercava disperatamente di tenersi a galla, alle prese con le difficoltà di un ricambio generazionale, e forse anche di un certo scoramento. Ad afferrare quell’aiutino non ci si pensò due volte.
Il presidente federale Dino Meneghin, preso atto che l’era del suo vecchio compagno di ventura Carlo Recalcati era irrimediabilmente finita, aveva messo la squadra nelle mani di Simone Pianigiani nel dicembre del 2009. Un atto di responsabilità e di coraggio, il suo, non tanto per il nome del prescelto – che con i suoi tre scudetti vinti a Siena era senz’altro il tecnico italiano più quotato del momento – quanto per il fatto di avere accettato la sua disponibilità part time, e quindi anche le sue “attenzioni” per il campionato, dove peraltro avrebbe ancora inseguito, e vinto, altri tre titoli tricolori consecutivi.
Senese di nascita e di scuola cestistica, Pianigiani aveva per ben undici stagioni ricoperto il ruolo di assistant-coach della squadra di casa, maturando esperienze importanti con sette diversi allenatori, l’ultimo dei quali risultò proprio quel Recalcati dal quale era destinato a raccogliere tutte le eredità. La sua carriera di allenatore si era però iniziata a soli 26 anni, e quando approdò in Nazionale, a 40, risultò uno dei commissari tecnici italiani più giovani (dopo Ettore Messina e l’inarrivabile Vittorio Tracuzzi). Entusiasmo da vendere e ancora tanta voglia di lavorare; era quel che ci voleva per affrontare il non facile cammino di risalita.
L’Italia, dunque, tornava sulla scena europea, avvalendosi di un ripescaggio che peraltro aveva tirato su altre sei Nazionali, tra cui Polonia, Bulgaria, Bosnia: come dire, concorrenza sempre più spietata, tempi duri per molti. L’ampliamento a 24 squadre comportava ovviamente anche un cambio nella griglia di partenza, con una formula però sostanzialmente invariata. Non più quattro gironi da quattro, ma da sei; erano sempre le prime tre, comunque, ad andare avanti, e da lì tutto come prima: cioè due gironi da sei, le prime quattro poi alla fase a eliminazione diretta.
La Lituania ospitava per la seconda volta l’Europeo dopo la riconquistata indipendenza nel 1990. La prima risaliva all’era pre-sovietica, indietro negli anni fino al 1939, quando la squadra di casa, guidata dall’”americano” Lubinas, si era aggiudicato il suo secondo oro in sole tre edizioni. A Kaunas, stavolta, soltanto la fase finale, ospitata nel modernissimo impianto da 15.000 posti della Zalgirio Arena, costruito per l’occasione. Nella capitale Vilnius la seconda fase, in altre quattro città quella di qualificazione.
Inserita nel gruppo della città di Siauliai, la Nazionale azzurra si ritrovò in un girone difficilissimo, per non dire proibitivo, e ovviamente questo era il prezzo minimo da pagare per una partecipazione non guadagnata sul campo. Serbia, Francia e Germania, che nelle recenti edizioni avevano spesso frequentato le zone alte della classifica, sembrava avessero già prenotato i tre posti per la qualificazione (e così infatti avvenne); Israele e Lettonia, poi, non si presentavano proprio come avversari abbordabili. Morale della favola: una sola vittoria per l’Italia di Pianigiani, contro la Lettonia (71 a 62) alla terza partita; nelle prime due, niente da fare con la Serbia (80 a 68) e la Germania (76 a 62); ci poteva salvare una prodezza con la Francia, ma arrivò solo una sconfitta onorevole (91 a 84); alla fine ci assistette anche la sfortuna, nel match con Israele, perso al supplementare. Fuori subito, stavolta, scaraventati al 17° posto; proprio in basso, ma sempre meglio che non partecipare!
Della vecchia guardia erano stati confermati Mancinelli, Mordente, Belinelli, Bargnani e Datome. Danilo Gallinari partecipava finalmente a un Europeo, ma portandosi dietro qualche acciacco di troppo. Nel ruolo di play, veniva lanciato Daniel Hackett, figlio di Rudy, un’ala statunitense che negli anni ’70 e ’80 aveva vestito alcune casacche del campionato italiano; Daniel, nato a Forlimpopoli, aveva fatto in tempo a prendere confidenza col pallone di basket nel vivaio di Pesaro, prima di farsi le ossa nei colleges americani, e quindi tornare da noi. Di scuola pesarese anche il debuttante Andrea Cinciarini; mentre l’altro play, Antonio Maestranzi, arricchiva l’elenco degli oriundi/meteora in maglia azzurra. Pianigiani cercava anche un contributo di esperienza nella “sua” guardia Marco Carraretto (sei scudetti, di cui cinque a Siena), e confidava nei centimetri dei giovani Marco Cusin e Andrea Renzi. Il campo avrebbe detto che i tre NBA, Bargnani, Belinelli e Gallinari, avevano dato il maggior apporto di punti (Bargnani alla media di quasi 23, ben 36 contro la Lettonia), ma con prestazioni altalenanti, e mai in sintonia tra loro; quanto agli altri, solo qualche promessa.
Lontanissime da noi le stelle europee. Luccicò più di tutte, ancora una volta, quella della Spagna (e del suo tecnico italiano Sergio Scariolo), al secondo oro consecutivo. Tranne una sconfitta con la Turchia (che evidentemente portava bene, visto che era accaduto anche nella edizione precedente), la Nazionale iberica riuscì a imporsi agevolmente sugli avversari, fino alla finalissima con la Francia, battuta due volte nello stesso torneo. Le solite grandi firme di Juan Carlos Navarro (MVP) e di Pau Gasol (nel quintetto ideale per la quinta volta), più la sorpresa Serge Ibaka, ala grande, congolese naturalizzato. Per la Spagna era l’undicesimo podio nella storia degli Europei, staccando proprio l’Italia, rimasta a dieci ormai da un bel po’.
La Francia sempre più vicina a quell’oro che mancava al suo palmares, dotato già di cinque bronzi e un argento. A inseguire il sogno si prodigava soprattutto Tony Parker, con i suoi 22 punti di media a partita, che gli valsero il titolo di miglior realizzatore, oltre che l’elezione a miglior play. Al suo fianco, il talento di Nicolas Batum, ala piccola dal tiro altrettanto micidiale.
Terza la Russia, che aveva ancora in Kirilenko il suo giocatore più rappresentativo, e che chiudeva con una sola sconfitta, in semifinale con la Francia. Nella finale per il bronzo doveva soffrire non poco per avere ragione della Macedonia, che restava però la vera squadra rivelazione. Alla sua terza partecipazione europea (dopo un tredicesimo e un nono posto), la Macedonia sorprese tutti, facendo vittime illustri: tra queste, le più nobili sorelle slave Croazia, Bosnia e Slovenia. Merito soprattutto di un fuoriclasse puro, la guardia di colore Lester “Bo” McCalebb, statunitense naturalizzato, già conosciuto dalle nostre parti per avere contribuito all’ultimo scudetto di Siena. Squadra, peraltro, dove avevano militato anche Kaukenas e Lavrinovic, due dei tanti fuoriclasse (gli altri venivano dalla NBA) che avrebbero potuto portare più in alto del quinto posto la Lituania padrona di casa.
Come dire che, tra giocatori e allenatori, l’Italia in qualche modo ci aveva messo del suo in questo Europeo in terra baltica; per quei tempi, ci si poteva consolare così!
Nunzio Spina
Katowice 2009 – Lubiana 2013
Il ricordo di Marco Carraretto
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