Nuovo corso, nuova medaglia… Un inizio da paura per gli Azzurri… Un obiettivo raggiungo con un giro largo…
Il nuovo, lungo, corso della Nazionale azzurra si era già iniziato da due anni. L’Europeo in Svezia faceva registrare, finalmente, la prima tappa importante, e soprattutto la prima occasione di riscatto, dopo il deludente risultato dell’edizione in Turchia. Carlo Recalcati, chiamato quasi a furor di popolo a prendere subito possesso della panchina lasciata vacante, aveva avuto già il tempo di girare pagina, imporre le sue idee e i suoi metodi, prendere per mano la squadra verso la riconquista di certi traguardi. Sarebbe stato, come vedremo, l’avvio di una nuova parentesi felice per il nostro basket!
In Scandinavia l’Europeo aveva messo piede una sola volta (Helsinki 1967); per la Svezia si trattava di un debutto. Una sorta di terra di nessuno, cestisticamente parlando; tanto più se le partite si disputavano a Lulea, cittadina portuale in prossimità del circolo polare artico, come appunto toccò all’Italia nella fase di qualificazione. Si era ai primi di settembre, ma l’estate – quella climatica almeno – era già finita da un pezzo.
Quattro gironi di quattro squadre; formula identica a quella della passata edizione, compresa la variante dello spareggio incrociato tra seconde e terze, che stavolta avrebbe rappresentato la nostra àncora di salvezza. Delle quattro sedi, Lulea era l’unica situata nella zona nord del paese; le altre tre a sud, vicino alla capitale Stoccolma, dove il Globe Arena, la più grande costruzione emisferica del mondo, era pronta ad ospitare le partite a eliminazione diretta della fase finale.
Qualche problema di adattamento, a parte le temperature insolite per la stagione, gli azzurri lo ebbero sicuramente sul parquet, nelle partite iniziali. Sconfitti con 10 punti di scarto dalla Slovenia all’esordio, ne presero la bellezza di 33 il giorno dopo dalla Francia. Paralizzati dalla paura, stavano rischiando di fare affondare subito nelle acque del Baltico ogni buon proposito. Per fortuna l’ultimo scontro, che avrebbe assegnato il terzo posto nel girone, era con la Bosnia-Erzegovina, una vittima predestinata per averla battuta in tutte le occasioni dei precedenti Europei. Sulla scia di questa tradizione favorevole arrivò la prima e unica vittoria della fase di qualificazione (80 a 72), che segnò la svolta.
L’opera di Recalcati doveva prima o poi dare i suoi frutti. Non fosse altro che per l’impegno a tempo pieno – e con una rete di fidati collaboratori sparsi per la Penisola – che aveva deciso di dedicare alla causa azzurra. Sulla sua designazione nessuno aveva avanzato perplessità, tanta la considerazione che si era guadagnata sul campo nella sua già lunghissima carriera. Venti anni da giocatore, una militanza in azzurro contraddistinta da quattro Europei (con due medaglie di bronzo), due Mondiali e due Olimpiadi. E venti anni da allenatore, illuminati da due scudetti, a Varese e a Bologna con la Fortitudo (presto sarebbe arrivato il terzo, a Siena). Bastava questo curriculum per guadagnarsi la reputazione di grande conoscitore di basket, e anche di giocatori.
Ne confermò otto, di quelli ereditati dalla precedente gestione: Basile, Galanda, Marconato De Pol, Chiacig, Mian, Radulovic e Righetti; più Massimo Bulleri, talentuoso play toscano, che aveva guidato la Benetton Treviso alla conquista degli ultimi due scudetti, e che Tanjevic aveva già fatto esordire nel 2000. Costretto a rinunciare definitivamente all’apporto di Myers, Abbio, Fucka e Meneghin, coach Recalcati pescò in provincia gli altri giovani sostituti: l’ala Matteo Soragna (da Biella), il play Davide Lamma e il centro Davide Cittadini (da Reggio Calabria).
Nell’Europeo svedese si era arrivati dunque al passaggio del turno, che voleva dire spareggio a Norrköping contro la seconda di un altro girone; era la Germania del fuoriclasse NBA Nowitski, da cinque anni con i Dallas, che nell’occasione venne tenuto a bada da Jack Galanda, prima che Bulleri mettesse a segno i punti decisivi. Il successo di misura (84 a 82) permise l’ingresso nei quarti e il trasferimento a Stoccolma, una meta che a un certo punto era sembrata irraggiungibile. Qui, col morale tornato in alto, venne sconfitta di slancio persino la Grecia, che aveva anche lei i suoi giganti “americani”, Rentzias (Philadelphia) e Tsakalidis (Phoenix): stavolta i punti decisivi per il 62 a 59 finale furono di Soragna.
Ritrovarsi nei primi quattro era già un grande traguardo, ma quel che valeva era almeno il terzo posto, non solo per la conquista di una medaglia, quanto soprattutto per la qualificazione alle Olimpiadi di Atene dell’anno dopo. All’obiettivo si arrivò facendo, per così dire, il giro largo. Sconfitti di misura in semifinale dalla Spagna di Pau Gasol (altro gigante d’oltre oceano) e di Garbajosa (ala della Treviso scudettata), gli azzurri si avventarono sulla Francia nella finale per il bronzo: grande prestazione di tutta la squadra, nonostante i numerosi infortuni, e ancora una volta i transalpini cacciati fuori dal podio (69 a 67). L’era-Recalcati si era iniziata sotto i migliori auspici, e col senno del poi (non ci sarebbe stata più, finora, una medaglia italiana agli Europei) quel bronzo avrebbe meritato maggiore celebrazione.
La conquista della medaglia d’oro da parte della Lituania (ai danni della Spagna) riportò agli archivi dell’anteguerra, quando nelle edizioni del ’37 e del ’39 era stato appunto il paese baltico a trionfare, prima che venisse assorbito dalla grande URSS. Una terra sempre prodiga di campioni: in Svezia ci fu soprattutto l’esplosione dei piccoli, tremendamente precisi nel tiro da fuori, come Jasikevicius (MVP), Stombergas, inseriti nel quintetto ideale, assieme al play francese Tony Parker, all’ala russa Andrej Kirilenko e al già citato Pau Gasol.
Giurie sempre poco generose nei confronti della squadra azzurra (tra le poche a non esibire ancora un giocatore della NBA), ma in compenso fu riconosciuto il valore dell’italiano Luigi Lamonica, promosso come uno dei migliori arbitri del torneo, se è vero che venne designato per la finalissima.
Bocciata invece la Jugoslavia, anzi la Serbia-Montenegro, perché da allora (e per qualche anno ancora) fu quella la sua denominazione ufficiale. Sesta alla fine, nonostante di stelle NBA, nelle sue file, ce ne fossero più che in altre squadre (Stojakovic, Drobnjak, Jaric): forse troppe, di stelle, per farle brillare tutte insieme!
Nunzio Spina
Istanbul 2001 – Belgrado 2005
I ricordi di Carlo Recalcati, Roberto Chiacig, Massimo Bulleri, Luigi Lamonica, Fausto Maifredi
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