«Tutto è andato in una direzione a noi favorevole»… «La squadra soddisfacente in difesa»…
Bogdan Tanjevic è nato il 13 febbraio 1947 a Pljevlja, nella regione del Montenegro (oggi repubblica indipendente, allora facente parte della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia). La sua carriera di cestista, nella capitale Belgrado, si arrestò all’età di 24 anni per dare spazio a quella – ben più duratura e gloriosa – di allenatore: siamo arrivati a quasi mezzo secolo di attività, e non è ancora finita… La prima prodezza, per non dire il suo primo miracolo, lo compì sulla panchina di esordio, quella del Bosna Serajevo, dove con una squadra di giovani semisconosciuti riuscì a conquistare la coppa dei Campioni nel 1979. Quel successo fece guadagnare a Tanjevic la panchina della Nazionale jugoslava, con la quale si aggiudicò l’argento agli Europei dell’81 a Praga. Cominciò quindi la sua lunga parentesi italiana: prima a Caserta, dove portò la Juve dalla A2 alla finale scudetto, oltre che alla finale di coppa Korac; poi a Trieste, dove i salti della promozione furono due, dalla B alla A1, più un’altra finale di Korac; infine a Milano, dove con l’Olimpia sponsorizzata Stefanel arrivò a vincerlo, lo scudetto, dopo altre due finali di Korac. Seguì un intermezzo in Francia, col Limoges, prima che la Federazione lo chiamasse a sostituire Ettore Messina sulla panchina della Nazionale azzurra. Qui esordì con un sesto posto ai Mondiali di Atene del ’98; l’anno dopo fu la volta degli Europei in Francia, che avrebbero portato il secondo oro continentale nella storia del basket italiano.
“L’oro di Parigi è stato il premio al duro lavoro che abbiamo condotto nella fase di preparazione. Io avevo cercato di portare nella Nazionale italiana la mia filosofia, quella appunto dell’impegno in palestra, della massima concentrazione nelle sedute di allenamento, di una sorta di training all’attenzione nell’affrontare le varie situazioni di partita… Che poi sono i principi ai quali mi sono sempre ispirato, anche guidando le squadre di club… I miei ragazzi sono stati davvero bravi ad assimilare questa mentalità, e i risultati non si sono fatti attendere…”.
“In quell’Europeo francese, devo dire, tutto è andato secondo una direzione a noi favorevole, persino le sconfitte, che non hanno compromesso il nostro cammino, e anzi ci hanno aiutato in qualche modo a ricaricarci e ad affrontare nel migliore dei modi le partite decisive… A un certo punto ho visto in campo una squadra che giocava a memoria, che aveva esaltato lo spirito di gruppo, che sapeva gestire tutti i momenti delicati, che non temeva nessun avversario… Quando abbiamo battuto la Jugoslavia in semifinale ho capito che il primo posto non poteva sfuggirci! Ricordo che alla vigilia della finalissima con la Spagna non ho fatto disputare alcun allenamento, ho lasciato i giocatori liberi di riposarsi o di svagarsi come volevano… E nello spogliatoio prima di entrare in campo mi sono limitato a dire loro: «Adesso andate, e spazzateli via!». Insomma, ero convinto che non avevano più bisogno di alcuna indicazione …”.
“Sul piano tecnico, la cosa che più mi ha soddisfatto è stata la difesa; con noi tutte le avversarie hanno fatto fatica a trovare la via del canestro, compresa la Jugoslavia e la Spagna, che pure avevano dei tiratori fortissimi; pensare che a entrambe, alla fine del primo tempo, avevamo concesso solo una ventina di punti…”.
“Ero già salito sul podio europeo, da allenatore, nel 1981 a Praga, quando ero sulla panchina della Jugoslavia, la Jugoslavia unita: un argento alle spalle della Unione Sovietica… Questa medaglia d’oro, ovviamente, mi ha procurato più gioia, anche perché mi sentivo ormai italiano… Però non mi sono esaltato, chi mi conosce sa che sono fatto così: ho pensato subito alle difficili prove che avremmo dovuto affrontare in seguito…”.
a cura di
Nunzio Spina
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