Il racconto della vittoria, 16 anni dopo Nantes… Il simbolo della vittoria: l’abbraccio tra i Meneghin… Myers e gli altri protagonisti…
Basterebbe un’immagine per rappresentare la bella favola azzurra all’Europeo ’99. É quella dell’abbraccio finale tra Dino Meneghin e il figlio Andrea. Dentro ci sta tutto: il passaggio di consegne (addirittura famigliare) da una generazione all’altra; la prima medaglia d’oro continentale che dà il benvenuto alla seconda; due stati d’animo – la sofferenza di chi guarda e la grinta di chi gioca – che si incontrano in una gioia liberatoria. Una immagine-simbolo, un abbraccio del quale, in realtà, tutto il basket italiano si è sentito partecipe.
Parigi 3 luglio, sedici anni dopo Nantes 4 giugno. Date storiche. E singolari analogie. La Francia, innanzitutto, come terra di conquista, peraltro tradizionalmente inospitale nei nostri confronti. L’avversario battuto nella finale per il primo posto, ancora una volta la Spagna. E poi l’emozione per un successo insperato alla vigilia, che – in questa come in quella occasione – finì col mortificare le ambizioni e la supponenza degli squadroni dell’Est. Corsi e ricorsi!
Era una Nazionale che sprizzava entusiasmo, freschezza e grinta. L’ultima di queste doti sembrava l’avesse assimilata direttamente dal nuovo allenatore, Bogdan Tanjevic, montenegrino di origine, italiano di adozione (lo sarebbe diventato poi anche di fatto), incaricato di sostituire Ettore Messina all’indomani della precedente edizione dell’Europeo. Tanjevic, 52 anni, aveva già navigato e vagabondato tanto. Ne aveva solo 32, nel ’79, quando riuscì a condurre il Bosna Sarajevo alla conquista della Coppa dei Campioni. Due anni dopo, sulla panchina della Nazionale jugoslava, aveva vinto l’argento agli Europei di Praga. Cominciò quindi la sua lunga militanza nel campionato italiano: quattro stagioni a Caserta (promozione in A1 e play-off), otto a Trieste (promozione in A1, play-off e scoperta di giovani talenti come Bodiroga e Fucka), infine due a Milano con l’Olimpia (coronati dalla conquista di uno scudetto).
Entrava nell’archivio azzurro come il terzo allenatore straniero della storia. Lontani i tempi di Elliot Van Zandt e di Jim Mc Gregor, e soprattutto molto diversi. Allora c’era l’esigenza di mettersi in casa un maestro che aiutasse il nostro basket a colmare il divario tecnico con le altre nazioni. Stavolta no; bisognava trovare la persona giusta per dare continuità al lavoro di rinnovamento già bene impostato da Ettore Messina, e per iniettare magari un pizzico di spregiudicatezza in più. Tanjevic, che di straniero per la verità aveva ben poco, sembrò la soluzione giusta. Esordio importante per lui, al Mondiale del ’98 ad Atene, dove ottenne un buon sesto posto, lanciando un gruppo di giovani destinati a diventare protagonisti.
La Francia ospitava la manifestazione con un coinvolgimento geografico decisamente maggiore rispetto alle due volte precedenti. I quattro gironi di qualificazione, ognuno con 4 squadre, si svolgevano a Tolosa, Clermont Ferrand, Antibes e Digione; seconda fase con due gironi da 6, a Pau e a Le Mans; quarti, semifinali e finali a Parigi, al Palais Omnisport di Bercy. Favorita numero uno ancora una volta la Jugoslavia (Serbia-Montenegro), a caccia del suo terzo oro consecutivo. Dietro di lei, la Russia e la Lituania, i vecchi “fratelli” della Croazia, poi Spagna, Grecia e la stessa Francia. Tra le ambiziose c’era anche l’Italia, ovviamente, che voleva valorizzare l’argento di Barcellona ’97.
Se il buongiorno si fosse visto dal mattino, non ci sarebbe stato da nutrire grandi speranze. Al debutto nel girone di Antibes, infatti, gli azzurri furono capaci di farsi recuperare dalla Croazia (sotto i colpi di Kukoc) un vantaggio di 19 punti, per poi soccombere di due: 70 a 68. E ci fu da soffrire non poco per avere poi ragione della Bosnia-Erzegovina e della Turchia (battute rispettivamente di 5 e 3 punti). Il bello fu di ritrovarsi nel gruppo a 6 della seconda fase, a Le Mans, con tutte le squadre allineate a due punti, segno del grande equilibrio che regnava in quella edizione. Qui la Nazionale italiana si scrollò di dosso un po’ di paure, ed ebbe nettamente la meglio sulla Germania del centro NBA da 2 e 13 Nowitzki (74 a 53) e sulla Repubblica Ceca (95 a 68), alla sua prima apparizione dopo la scissione dalla Slovacchia. Però arrivò anche un’altra sconfitta (74 a 62), contro la Lituania di Marciulonis e Sabonis, tanto per dire che non si trattò di una marcia trionfale.
Al blocco già ben collaudato ricevuto dalle mani di Messina (Myers, Fucka, Abbio, Marconato, Galanda, Bonora), Tanjevic aggiunse quello lanciato ai Mondiali ’98: la guardia Andrea Meneghin (figlio d’arte, ma anche di temperamento), il play Gianluca Basile (pugliese trapiantato a Reggio Emilia), l’ala Alessandro De Pol (altro prodotto della covata triestina), il centro friulano Roberto Chiacig, il brasiliano naturalizzato Marcelo Damiao; e poi l’ultimo arrivato, Michele Mian da Gorizia.
C’era spazio e gloria per tutti. E la squadra, giorno dopo giorno, si rese sempre più conto della propria forza. A Parigi Bercy andarono in scena tre capolavori. Il primo nei quarti, contro la Russia guidata da Belov, ancora una volta nostra vittima: 102 a 79, Myers e Fucka imprendibili. Il secondo in semifinale, contro la favorita Jugoslavia: 71 a 62, su tutti Meneghin e Galanda. Il terzo nella finalissima, contro la Spagna che aveva eliminato la Lituania, ma in partita non fece mai paura, neanche col suo grande tiratore Roberto Herreros; azzurri sempre avanti (e grande prova di tutti) fino al 64 a 56 finale. Doveva ancora trascorrere qualche secondo di partita, quando i Meneghin (papà Dino, team manager, e figlio Andrea, appena uscito dal campo) si lasciarono andare al loro lungo, coinvolgente abbraccio…
Il secondo oro europeo della storia portava anche qualche riconoscimento in più all’Italia. C’era il colore azzurro nel “miglior quintetto” (ufficiale), addirittura con tre giocatori: Fucka, Myers e Meneghin (assieme a Herreros e Bodiroga); Fucka fu anche eletto MVP. Mai come stavolta sul tetto d’Europa!
Nella finale per il bronzo fu la Jugoslavia a spuntarla su una Francia che, al di là del fattore casalingo, aveva evidenziato grandi progressi di gioco, ed era stata in grado di battere la Russia e la Spagna. Un’altra “occidentale” che avanzava, dunque; e che in futuro avrebbe chiesto sempre più spazio!
Nunzio Spina
Barcellona 1997 – Istanbul 2001
I ricordi di Bogdan Tanjevic, Gregor Fucka, Andrea Meneghin e Fausto Maifredi
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