Il tifo del PalaEur e degli spettatori da casa… Un nuovo ciclo nella competizione in Germania… La storia del suo numero di maglia…
Riccardo Pittis è nato a Milano, il 18 dicembre 1968. Cresciuto nelle giovanili dell’Olimpia, il suo debutto in prima squadra è arrivato a 16 anni; da allora nove stagioni ricche di successi, con quattro scudetti, una Coppa Italia, due volte la Coppa Korac, due la Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale. A 25 anni il suo primo e unico cambio di casacca; indossò quella della Benetton Treviso (città dove avrebbe fissato la sua residenza), replicando la serie di titoli: tre scudetti, cinque volte la Coppa Italia, tre la Supercoppa italiana, due la Coppa europea Saporta. Ala di 2.03, fisico asciutto e agile, in campo si faceva notare per la sua ottima visione di gioco, la sua intraprendenza in attacco e, soprattutto, la sua capacità di recuperare palloni in difesa (1870 in un campionato, un record!). A 30 anni fu anche capace, per un problema alla mano destra, di diventare mancino anche nel tiro a canestro. In Nazionale fu Sandro Gamba a farlo debuttare, nel novembre dell’89, alle qualificazioni per l’Europeo del ’91. Partecipò ai Mondiali del ’90 in Argentina, poi a quattro edizioni consecutive degli Europei, le ultime tre con coach Ettore Messina. Ci sarebbe poi stata anche una appendice nel 2001, con la convocazione da parte di Recalcati (subentrato a Tanjevic), in preparazione agli Europei 2003. In Nazionale ha anche svolto, per qualche anno, il ruolo di team manager.
“L’Europeo del ’91 a Roma? Una emozione incredibile! Per la prima volta giocavo in casa con la maglia azzurra in un torneo continentale, e non dimenticherò mai il tifo del pubblico in quella occasione. Una manifestazione riuscitissima sotto tutti i punti di vista; merito principalmente della organizzazione, che è stata perfetta, coinvolgendo il pubblico, sia quello del Palaeur che quello televisivo: avevamo la sensazione, in campo, di sentire anche la gente che ci sostenevano da casa…”.
“Era una squadra di carattere, quella, ma anche molto forte tecnicamente: c’erano ancora grandi giocatori del gruppo storico (Brunamonti, Riva, Costa, Magnifico), e noi giovani eravamo riusciti ad amalgamarci bene con loro… Personalmente, sono rimasto abbastanza soddisfatto della mia prestazione; devo dire che Gamba mi ha dato fiducia e mi ha valorizzato: mi diceva che come giocatore gli ricordavo lui da giovane, forse per il coraggio e lo spirito battagliero…”
“Sono state tutte partite molto combattute, a partire della prima con la Grecia, che riuscimmo incredibilmente a ribaltare a nostro favore, e lì capimmo che potevamo puntare in alto, soddisfacendo così le aspettative riposte su di noi… La vittoria più bella, forse, fu quella in semifinale con la Spagna: sofferta come e più delle altre, ma alla fine potevamo esultare per una medaglia… E oltre l’argento, sinceramente, non si poteva andare…”.
“Nell’Europeo successivo, purtroppo, le cose andarono in maniera ben diversa! Ettore Messina aveva puntato su un gruppo di giocatori, me compreso, per dare una certa continuità alla Nazionale, ma era praticamente iniziato un nuovo ciclo, e lui sicuramente non aveva avuto il tempo di preparare la nuova squadra come avrebbe voluto, essendo anche impegnato sul fronte del campionato… E poi c’erano stati molti cambiamenti nel panorama cestistico europeo, con lo smembramento dell’URSS e della Jugoslavia; insomma, bisognava calarsi in una nuova realtà, e non era facile… Eppure, avevamo iniziato bene il girone di Karlsruhe, battendo Israele; poi quella maledetta partita con la Lettonia, che stavamo conducendo tranquillamente, e che poi siamo riusciti a perdere di un punto… Ecco, quella partita avrebbe potuto, chissà, farci imboccare un’altra strada, un po’ come la vittoria sulla Grecia di due anni prima a Roma…”.
“Però questo episodio non poteva affatto giustificare il nostro mediocre risultato finale. Dovevamo essere in grado di fare senz’altro una figura migliore, inutile cercare alibi; la verità è che la squadra non è più riuscita a rialzarsi sul piano psicologico, e soffriva ancora di evidenti limiti di gioco… Quando Messina ha avuto tempo a disposizione per lavorare e imporre le sue idee, allora sono arrivati anche i risultati; lo testimoniano i piazzamenti ottenuti nei due europei successivi, fino all’argento del ’97. E io sono contento di aver partecipato a questo percorso di risalita…”.
“In Nazionale ho avuto il piacere di essere eletto capitano. E anche di portare sulla maglia il mio numero preferito, il 7. A Roma ’91 apparteneva a Sandro Dell’Agnello, e io mi ritrovai con l’11, un numero nobile, che era stato di Dino Meneghin; poi sono passato al 9, per rispettare la consegna fattami direttamente da Roberto Brunamonti quando concluse la sua esperienza in azzurro; lui ci tenne a dire, allora, che quel numero lo aveva ricevuto a sua volta da Renzo Bariviera… Poi, siccome le cose non erano andate bene all’Europeo del ’93, appena fu libero il 7, me lo accaparrai…”.
a cura di
Nunzio Spina
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