Europei di basket: Monaco 1993
Bandiere nuove, è dura per Messina!

Un Europeo allargato, un’Europa frammentata… La sorpresa tedesca, anche per i suoi stessi tifosi… Bottino misero per gli Azzurri…

La Nazionale in preparazione all’Europeo in Germania (da Museo del basket Milano).

Era un’altra Europa. Aveva mutato la sua fisionomia, politica e geografica. E aveva moltiplicato le sue bandiere. Sul podio del 28° Eurobasket se ne videro sventolare due assolutamente inedite, appartenenti a Russia e Croazia, mentre una era praticamente sconosciuta alla nobiltà cestistica, quella della Germania tornata unita dopo la caduta del Muro di Berlino. Da una edizione all’altra sembrò così tutto diverso – per non dire straordinario – che davvero il ’93 segnò nella lunga storia della manifestazione continentale l’inizio di una nuova era.

Un indicativo segnale di cambiamento lo volle dare proprio la Germania, che dopo alcuni anni di inquietante silenzio si ripresentò sulla scena in veste di paese organizzatore. Lo faceva per la terza volta, dopo Essen ’71 e Stoccarda ’85, ma era la prima di uno stato, e di un popolo, senza più un Ovest e un Est. Occasione unica, dunque, per dimostrare subito la propria voglia di riscatto. Che poi dovesse finire addirittura in trionfo, visto che la bandiera abbinata al gradino più alto del podio fu proprio la sua, nessuno mai lo avrebbe potuto immaginare. Già Atene ’87 – per non andare più indietro nel tempo – aveva dimostrato che certi miracoli in casa erano possibili!

 

Time out di Ettore Messina in una partita del girone di qualificazione a Karlsruhe; alla sua destra il vice Mario Blasone; tra i giocatori (da sinistra) Moretti, Pittis, Myers, Carera (da Giganti del basket, n° 27, 1993).

Più che una novità, la formula del torneo si presentava come un ricorso storico. Squadre partecipanti sedici, il doppio delle due edizioni precedenti, con suddivisione in 4 gironi, un po’ come accadeva negli anni cinquanta. C’era da fare spazio ai nuovi stati indipendenti, e i primi a rispondere presente furono la Russia, la Lettonia e l’Estonia (dal fronte dell’ex URSS), la Croazia, la Slovenia e la Bosnia-Erzegovina (da quello della ex Jugoslavia). Una frammentazione che non ebbe l’effetto di abbassare il livello, se è vero che quattro di queste formazioni si classificarono ai primi otto posti, due in zona medaglia, come già detto. All’appello, peraltro, mancavano proprio le rappresentative più forti: la Lituania, che aveva già fatto in tempo a vincere il bronzo alle Olimpiadi di Barcellona dell’anno prima, e la Serbia-Montenegro, che doveva ancora riprendersi dalla tragedia della guerra nei Balcani.

 

Ritorno all’antico, e quindi anche al coinvolgimento di più sedi. Due gironi di qualificazione (compreso quello dell’Italia) si disputarono a Karlsruhe, la città del Baden-Württemberg che aveva già ospitato l’Europeo nell’85; gli altri due, in nome della riconquistata unità, a Berlino. Accedevano alla fase successiva addirittura le prime tre di ognuno, a formare due gruppi da sei. Per la fase finale a eliminazione diretta, trasferimento all’Olympiahalle di Monaco di Baviera.

 

Sconsolati, gli azzurri abbandonano il campo dopo la sconfitta con la Russia, decisiva per l’eliminazione dalla fase finale: si riconoscono, dai numeri, Rusconi (15), Carera (14), Moretti (11), Myers (10), Frosini (13), Bosa (8), Tonut (7) (da Giganti del basket, n° 27, 1993).

In questo festival di innovazioni, la Nazionale italiana ci mise del suo. Anche per lei si era appena iniziato un nuovo corso, dopo l’abbandono (stavolta definitivo) di Sandro Gamba. Al suo posto era stato chiamato il tecnico-rivelazione del campionato, quell’Ettore Messina che a soli 34 anni aveva già vinto, a Bologna, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e uno scudetto. Portava in azzurro tecniche nuove, entusiasmo e ambizioni, ma dopo il successo ai Giochi del Mediterraneo in Francia, il primo approccio col torneo europeo risultò quanto mai difficile.

Tra conferme e ripescaggi, Messina si era affidato a otto giocatori già messi in campo dal suo predecessore (Gentile, Pittis, Tonut, Rusconi, Iacopini, Bosa, Carera, Rossini), più quattro nomi nuovi: il play Claudio Coldebella, il centro Alessandro Frosini, le guardie Paolo Moretti e Carlton Myers, quest’ultimo (origini miste caraibico-italiane) considerato già un talento pronto a esplodere, e infatti fu lui in Germania il miglior realizzatore e il miglior assist-man della sua squadra. Ma c’era poco da andarne fieri, perché con quattro sconfitte e due sole vittorie, l’Italia non riuscì a qualificarsi per la fase finale; il platonico nono posto che le venne assegnato sapeva di mortificazione.

La squadra aveva iniziato benino con Israele (92 a 83), contro la Lettonia aveva ceduto nel finale (79 a 80, dopo essere stata avanti di 15), era poi crollata davanti la Grecia (73 a 88). Stessa sorte che le sarebbe toccata, dopo avere acciuffata la qualificazione come terza, nelle partite contro Spagna e Russia. La vittoria di misura con Bosnia-Erzegovina ci avrebbe dato solo la consolazione di venire eliminati dai quarti per differenza canestri.

 

Il capitano tedesco Hansi Gnad solleva il trofeo sul gradino più alto del podio (da fibaeurope.com).

L’oro conquistato dalla Germania sorprese tutti, anche lo stesso pubblico di casa, che aveva visto la propria squadra soccombere nella partita di esordio contro l’Estonia, e addirittura altre due volte nella seconda fase, con Francia e Croazia. Fino a quel momento tutto nei pronostici. Le prodezze arrivarono nella fase finale, dove i tedeschi si qualificarono per il rotto della cuffia: vittoria di 2 con la Spagna, di 3 con la Grecia in semifinale, poi il 71 a 70 col quale venne sorprendentemente sconfitta la Russia in finale, con sorpasso all’ultimo secondo. Guidata in panchina dal grintoso Svetislav Pesic, un serbo, la Germania del basket cominciava a vantare nelle sue file qualche fuoriclasse, come l’ala grande Christian Welp (MVP del torneo) e il play Michael Koch, che avrebbero preso la strada della NBA. C’era anche l’esperto centro di 2,08 Hansi Gnad, che aveva appena concluso la stagione nel campionato italiano di A2, con Desio, e che dalle nostre parti sarebbe tornato qualche anno dopo, in tempo per vincere la Coppa Korac con la Mash Verona.

 

Anche la Russia aveva avuto un inizio stentato, perdendo nientemeno che con la Svezia e con la Spagna a Karlsruhe, segno che i valori cominciavano a livellarsi. Poi tutte vittorie fino all’imprevisto esito della finale. Solita buona squadra, con una stella nascente, il play Sergej Bazarevich, che avremmo ospitato anche nel nostro campionato (a Gorizia e Trieste), dopo un’esperienza USA.

Bronzo alla Croazia che aveva gli occhi puntati addosso, soprattutto per il dramma che l’aveva colpita alla vigilia del torneo: la morte in un incidente stradale, proprio al ritorno da una partita di pre-qualificazione in Polonia, del suo idolo Drazen Petrovic, vero eroe della neonata repubblica indipendente, specie dopo la conquista della medaglia d’argento olimpica a Barcellona alle spalle del Dream Team statunitense. L’allenatore di ritorno Mirko Novosel (che dovette fare a meno anche dell’infortunato Toni Kucoc) mancò così l’obiettivo del suo terzo oro europeo, dopo quelli che aveva conquistato sulla panchina della Jugoslavia nel ’73 e nel ’75.

Nunzio Spina

Roma 1991Atene 1995
I ricordi di Ettore Messina, Riccardo Pittis e Alberto Tonut

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