«Il momento più entusiasmante della mia carriera»… «Molto affiatati ma con una super concorrenza»… Senso di appartenenza per i figli…
Ferdinando Gentile è nato a Tuoro, frazione di Caserta, il 1° gennaio 1967. Era ancora tra i ragazzini della Juve, la squadra della sua città, quando il tecnico montenegrino Bogdan Tanjevic lo fece esordire a soli 15 anni, in A2; l’anno dopo si fece conoscere, sbalordendolo, dal pubblico dei telespettatori, giocando una grande partita in A1 contro Cantù. Della Juve sarebbe diventato presto una bandiera: undici stagioni, culminate con la conquista di una Coppa Italia, e soprattutto di un titolo tricolore (il primo del Sud) nella stagione ’90-’91, quando in panchina era subentrato Franco Marcelletti, casertano anche lui. Play maker di 1,90, talento e personalità, un pericolo costante per le difese avversarie, col suo tiro mancino (esecuzione veloce dalla distanza, abili finte da sotto) e i suoi passaggi smarcanti. A 23 anni, ancora pieno di energie e desideroso di affermarsi, Nando cominciò una seconda vita professionale, seguendo il suo mentore Tanjevic, prima a Trieste, con la Stefanel, poi a Milano, con l’Olimpia, dove ottenne, da capitano, il suo secondo scudetto e la sua seconda Coppa Italia. Andò poi ad Atene a saziare la sua fame di successi: con il Panathinaikos, tre titoli nazionali in tre anni, più una Coppa dei Campioni. Debuttò in Nazionale con Bianchini, in una partita proprio a Caserta, prima di partecipare all’Europeo di Atene ’87. Disputò poi altre tre Europei: nel ’91 con Sandro Gamba, nel ’93 e nel ’95 con Ettore Messina. Tornato in Italia dopo la parentesi greca, girovagò un po’ tra Udine, Reggio Emilia, Siena e Caserta, prima di intraprendere la carriera di allenatore, anch’essa in giro per l’Italia (Imola, Roma, Veroli, Milano) e ancora in corso.
“A Roma ho vissuto senz’altro il momento più entusiasmante della mia carriera in Nazionale. Conquistare una medaglia d’argento, cioè il massimo che si poteva allora, davanti ai quindicimila spettatori del Palaeur è stata una esperienza che ha lasciato il segno in noi giocatori… Per me, poi, c’è stato anche il premio di essere inserito nel miglior quintetto del torneo, come play-maker; il mio nome insieme a quelli di campioni come Galis, Kucoc, Divac… Davvero un Europeo indimenticabile!”.
“Si trattò di un felice ritorno in maglia azzurra. Mi aveva fatto esordire Valerio Bianchini nell’Europeo dell’87 ad Atene, avevo vent’anni, cercavo di trovare il mio spazio… Col ritorno in panchina di Sandro Gamba, che puntò sull’esperienza di Mike D’Antoni, fui lasciato per un po’ fuori dal giro, costretto così a rinunciare all’Europeo dell’89 e al Mondiale dell’anno dopo; ci rimasi male, inutile sottolinearlo! A rilanciarmi fu proprio la stagione che portava a Roma ’91, quella in cui conquistammo lo scudetto con Caserta, e stavolta Gamba non ebbe alcuna esitazione a richiamarmi… Beh, devo dire che forse il premio più grande è stato quello di ottenere anche la sua piena fiducia e i suoi apprezzamenti…”.
“Quella di Roma ’91, secondo me, era una super Nazionale. C’era un perfetto mix tra i vecchi, chiamiamoli così (mi riferisco a Brunamonti, Magnifico, Costa, Riva), e noi giovani… Eravamo molto affiatati, e in ogni ruolo si era creata una sana concorrenza; pensare che come play-maker eravamo in quattro: Brunamonti, Fantozzi, Gracis e il sottoscritto, tutti in grado di dare un importante contributo in campo… Una squadra con molto temperamento e coraggio; superato il primo ostacolo, rappresentato dalla Grecia, abbiamo affrontato tutti senza farci intimorire. Ricordo soprattutto la semifinale con la fortissima Spagna, vinta con una grande prestazione da parte di tutti (e con i suoi 23 punti, n.d.r.); e anche la finale con la Jugoslavia, dove siamo riusciti, pur perdendo com’era inevitabile, a scaldare il pubblico romano…”.
“In Nazionale avrei ancora continuato il mio percorso, entrando nell’era di Ettore Messina; altri due Europei, meno fortunati di quelli giocati in casa, ma rappresentare l’Italia è stato comunque un motivo di soddisfazione e di grande orgoglio, soprattutto per uno come me, venuto dal Sud… Adesso l’inno nazionale lo si ascolta anche giocando le partite di club, ma vi assicuro che ascoltarlo e cantarlo con la maglia azzurra addosso fa tutto un altro effetto… Spero di avere trasmesso anche questa sensazione di appartenenza ai miei figli Stefano e Alessandro, che hanno avuto la fortuna, come me, di entrare a far parte di questo mondo e di vestire questa maglia…”.
a cura di
Nunzio Spina
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