Una lunghissima carriera iniziata a Mosca, nel 1953, fino al ruolo di assistente per Sandro Gamba negli anni ottanta-novanta…
Antonio “Tonino” Zorzi è nato a Gorizia, il 10 giugno 1935. All’età di 15 anni si era presentato a una leva per la pallavolo, e si ritrovò invece con un pallone davanti a un canestro. Giocò nelle file della ACI Gorizia (Associazione Giovanile Italiana) fino a 18 anni, in tempo però per farsi notare dal nuovo commissario tecnico della Nazionale di allora, Vittorio Tracuzzi, che lo convocò per gli Europei del ’53 a Mosca. Trasferitosi a Varese, Zorzi si impose già nella prima stagione, venendo eletto miglior giocatore della serie A, con i suoi 527 punti realizzati. A Varese restò fino al ’62, dopo aver vinto uno scudetto l’anno prima. Rientrato a Gorizia per motivi famigliari, intraprese già a 28 anni una carriera di allenatore praticamente infinita (visto che è stato recentemente chiamato, alla bella età di ottantadue, a guidare la Nazionale Over 70). Ha girato tredici città, nel suo girovagare in lungo e in largo la Penisola, e tra i suoi successi vanno ricordate la Coppa delle Coppe nel ’70, con la Fides Napoli, e ben cinque promozioni in serie A1 (tre a Venezia, una a Reggio Calabria e Pavia). È tornato anche sulla panchina azzurra come vice di Sandro Gamba, tra gli anni ottanta e novanta.
“Dovevo ancora compiere diciotto anni quando mi ritrovai all’Europeo di Mosca del ’53; con me c’era Sandro Riminucci, eravamo i due piccolini che Tracuzzi aveva voluto inserire nella sua nuova Nazionale. Potete immaginare l’emozione di quel mio debutto in maglia azzurra; che all’inizio si tramutò anche in paura, quando salimmo la scaletta dell’aereo per il volo di andata: era un DC2 russo che aveva fatto la guerra, e che sicuramente ne aveva passate di peripezie, se è vero che i tecnici di volo si soffermarono un bel po’ a controllare i motori… Altri flash che mi vengono in mente sono: le gigantesche e affollate tribune dello stadio calcistico che ospitò la manifestazione, seppure il campo di basket fosse stato montato su un angolo; i 23 punti che riuscii a realizzare contro la Svizzera, in una delle tre partite che vincemmo; il cibo che ci propinavano, tutti i giorni una carne di montone stomachevole… Quella volta che fummo ospitati dall’ambasciata italiana, ci mangiammo un chilo e mezzo di pastasciutta a testa… Come risultato di squadra non fu certo un torneo esaltante, ma io ero già contentissimo di avervi partecipato…”.
“Avrei tanto voluto rivivere belle esperienze con la maglia azzurra, ma quella restò l’unica uscita importante da giocatore. Al successivo Europeo di Budapest, nel ’55, dovetti rinunciare alla convocazione di McGregor per via degli esami di stato… Poi… Poi arrivò Paratore, e per me non ci fu più spazio… Evidentemente non gli andavo a genio; e dire che in campionato in quegli anni risultavo sempre tra i migliori, americani compresi… Il mio più grande dolore, e me lo porto ancora dietro, è stato quello di non essere convocato per le Olimpiadi di Roma del ’60…”.
“Veramente, un’altra presenza da giocatore a un Europeo me la sono guadagnata, ma fu un episodio del tutto casuale… Per ironia della sorte accadde di nuovo a Mosca, nella edizione del ’65: ero aggregato alla comitiva, insieme a Elio Pentassuglia e Tonino Costanzo, in viaggio premio offerto dalla Federazione ai migliori giovani allenatori; all’ultimo momento Paolo Vittori venne fermato dai medici russi, pare per un problema di natura reumatica, e allora per sostituirlo indicarono il sottoscritto, che a Gorizia mi cimentavo ancora nel doppio ruolo di giocatore e allenatore… Fu una semplice comparsa, tanto per non scrivere un giocatore in meno a referto; anche perché il tecnico della Nazionale era Paratore, e non ci pensò minimamente di mettermi in campo, neanche per un secondo…”.
“Ho avuto poi la fortuna di tornare a respirare l’atmosfera degli Europei da allenatore, come assistente di Sandro Gamba. C’ero a quello dell’81 a Praga, poi a quello dell’89 a Zagabria e a quello del ’91 a Roma. Inutile dire che quest’ultimo, con la conquista della medaglia d’argento, mi ha procurato maggiori soddisfazioni. Davvero fu un cammino esaltante, di una Nazionale giovane, piena di entusiasmo e di grande determinazione; e tutto questo anche grazie all’aiuto del pubblico del Palaeur, che gremiva anche gli anelli più lontani delle tribune… Quella partita di esordio con la Grecia fu determinante per il morale della squadra; ricordo che a pochi secondi dalla fine del primo tempo, il loro tiratore Giannakis fallì un tiro da tre che li avrebbe portati all’intervallo con 17 punti di vantaggio; Gamba disse «Se è andato fuori quel tiro, vuol dire che perderanno la partita!», e così infatti avvenne… Vincemmo noi di dieci, e poi fu un percorso trionfale fino alla finalissima con la Jugoslavia, cioè contro una squadra assolutamente imbattibile: quella secondo me è stata la più forte Jugoslavia di tutti i tempi, oltre che l’ultima della storia!”.
a cura di
Nunzio Spina
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