L’ala dalla lunghissima carriera in Nazionale… Il calcio di Kicanovic… La vittoria contro la Spagna… Le emozioni…
Renato Villalta è nato a Maserada sul Piave, in provincia di Treviso, il 3 febbraio 1955. Fin da giovanissimo, Augusto Giomo (vecchia gloria della Nazionale anni Sessanta) lo fece esordire nella squadra di Mestre, con cui raggiunse la serie A. Seguirono tredici lunghe stagioni con la Virtus Bologna, dove ha conquistato tre scudetti e due Coppe Italia. Alto 2 e 04, iniziò la sua carriera da pivot, poi Dan Peterson lo spostò all’ala, esaltando le sue qualità di tiratore, oltre che di difensore e rimbalzista. Lunga anche la sua militanza in Nazionale: è stato presente in ben sei edizioni degli Europei (da quella del ’75 a quella dell’87, saltando quella del ’77 per motivi di studio), due Olimpiadi (Mosca ’80 e Los Angeles ’84) e due Mondiali (’78 e ’86); con tre diversi allenatori (Primo, Gamba e Bianchini), ha totalizzato in maglia azzurra 207 presenze e più di 2200 punti (terzo nella classifica marcatori alle spalle di Riva e Meneghin). Dopo il ritiro è stato il primo presidente della GIBA (l’associazione dei cestisti italiani).
“L’oro di Nantes è stato il frutto di una solidità e di una unità di squadra, come non si erano mai viste fino allora. E forse abbiamo avuto la fortuna di imbatterci in certi episodi che hanno cementato il nostro affiatamento. Mi riferisco soprattutto a quello che mi ha visto involontario protagonista, e vittima, nella partita con la Jugoslavia, che valeva la qualificazione in semifinale: il calcio che mi rifilò a gioco fermo Kicanovic – giocatore che tra l’altro già in precedenti occasioni aveva avuto atteggiamenti deplorevoli nei nostri confronti – fu un gesto talmente ingiustificato e cattivo da farci rientrare in campo più determinati di quanto lo eravamo già…”.
“Tutto andò secondo una giusta direzione in quell’Europeo francese. A partire dall’esordio con la Spagna, che vincemmo di un punto con un canestro allo scadere di Marzorati su una mia palla recuperata… Poi però, abbiamo ampiamente dimostrato la nostra superiorità, anche nei confronti della stessa Spagna nella finalissima: loro avevano il dente avvelenato, ma noi eravamo in uno stato di grazia, davvero non ce n’era per nessuno…”.
“Giocavamo quasi a occhi chiusi, ognuno svolgeva il suo ruolo nella maniera migliore, senza mai eccedere in individualismi; grande merito da riconoscere a coach Gamba. Ecco perché nessuno di noi, che pure avevamo vinto l’oro, venne inserito dalla giuria nel miglior quintetto… Avrebbero dovuto mettere una squadra intera!”.
“Inutile dire che mi porto ancora dentro le emozioni per quella medaglia d’oro. Mi sono preso delle belle soddisfazioni anche con gli scudetti vinti in campionato, ma devo dire che una vittoria della Nazionale ha un gusto tutto particolare, e soprattutto si assapora per più lungo tempo…”.
a cura di
Nunzio Spina
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