L’ultimo Europeo, quello della medaglia d’oro… «Senza paura contro gli jugoslavi, una bella rivincita»…
Dino Meneghin disputò a Nantes, nell’83, il suo ottavo e ultimo campionato europeo. Chiusura con una medaglia d’oro, dopo aver vinto quella di bronzo nel ’71 a Essen e nel ’75 a Belgrado. Dopo l’esordio in maglia azzurra con Nello Paratore (a 16 anni, in tornei amichevoli), Meneghin ha figurato nella Nazionale di Giancarlo Primo dal ’69 al ’79 (sei Europei, due Mondiali, due Olimpiadi) e in quella di Sandro Gamba dall’80 all’84 (due Olimpiadi e due Europei). Oltre al record di presenze agli Europei, può vantare anche quello dei quindici anni di militanza in maglia azzurra senza mai saltare una manifestazione ufficiale. Dopo avere chiuso la carriera di giocatore (a 44 anni), si è dedicato a quella di dirigente, che lo ha riportato in Nazionale come team manager, in un periodo (dal ’97 al 2008) in cui sono arrivate altre tre medaglie europee (argento, oro e bronzo) e una olimpica (l’argento di Atene). Dal 2009 al 2013 ha ricoperto il ruolo apicale di Presidente della Federazione Italiana Pallacanestro.
“Un flash che mi ritorna sempre agli occhi, della serata magica di Nantes, è quello di Charlie Caglieris, che si ritrovò il pallone in mano al suono della sirena, e cominciò la sua corsa forsennata per il campo, tenendolo in mano quel pallone, baciandolo, sollevandolo al cielo come un trofeo… Lui da solo, completamente in estasi, noi da un’altra parte del campo, ad abbracciarci… Una scena grottesca e divertente, a ripensarci… Un’altra, di scena rimasta impressa nella memoria di tutti, riguarda proprio me, che nel bel mezzo dei festeggiamenti mi vidi passare per le mani una bottiglia gigante di spumante italiano, e non ci pensai due volte a tracannare: non poteva esserci maniera più patriottica per bagnare quel trionfo…”.
“Avevamo compiuto una grande impresa! Era il primo oro del basket italiano, inseguito da sempre, quelli della mia generazione vi lottavano da almeno quindici anni… Forse solo col passare degli anni ci siamo resi pienamente conto di quanto fosse importante e difficile raggiungere un tale traguardo… E devo dire che ce lo siamo proprio meritato; la squadra era in piena salute, tutti abbiamo dato il nostro contributo in campo, pronti a sacrificarsi, mettendo completamente da parte ogni personalismo… Diciamo pure che agli avversari non davamo alcun punto di riferimento, ognuno di noi era in grado di avere – come si suol dire i punti nelle mani…”
“È anche vero che la ruota del destino ha girato subito nel senso giusto per noi… La partita decisiva, secondo me, è stata proprio quella di esordio in qualificazione, quando battemmo in extremis la Spagna… Per il nostro morale è stata una spinta determinante! Da allora abbiamo sempre più creduto nella nostra forza, affrontando ogni avversario con la giusta umiltà ma anche senza alcuna paura; sicuramente non abbiamo avuto paura dei fortissimi giocatori jugoslavi, neanche quando loro l’hanno messa sul piano della rissa… Ci siamo presi una bella rivincita, quella volta, dopo le tante delusioni che ci avevano procurato, come la sconfitta rimediata nella finalissima alle Olimpiadi di Mosca, tanto per citare l’ultima in ordine di tempo…”.
“Quello fu il mio ultimo Europeo, e posso dire di avere chiuso in bellezza, ma in realtà allora non avevo alcuna intenzione di smettere… Pensavo solo a godermi quel momento di gioia, e andavo avanti – diciamo così – a forza di inerzia; tanto è vero che ho ancora vestito la maglia azzurra alle Olimpiadi dell’anno dopo a Los Angeles. Altre belle soddisfazioni me le sarei prese con team manager della Nazionale, ma sinceramente a quel punto facevo parte del contorno; vincere da giocatore è tutta un’altra cosa!”.
a cura di
Nunzio Spina
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