Sei edizioni continentali per il lungo dal fisico statuario… «Il primo Europeo non si scorda mai»… «Incantato dai cristalli di Boemia»…
Ario Costa è nato a Cogorno (in provincia di Genova), il 26 settembre 1961. Ha mosso i primi passi nel basket con l’Alcione di Chiavari, ma a 17 anni – fisico statuario, destinato a raggiungere i 2 metri e 10 – venne ingaggiato dalla Pinti Inox Brescia, dove rimase fino all’84, militando tra la A1 e la A2. Il trasferimento a Pesaro, con la maglia della Scavolini, venne coronato dalla conquista di due scudetti e una Coppa Italia, e per dodici stagioni fu un beniamino della tifoseria locale. Centro di grandi risorse fisiche, con le sue enormi mani era in grado di agguantare un gran numero di rimbalzi, e col tempo affinò anche le sue capacità realizzative. Il suo esordio in Nazionale con Gamba, nel novembre dell’80, e da allora una lunga presenza in azzurro, con ben sei Europei e due Mondiali, e il rammarico di avere dovuto rinunciare all’Olimpiade di Los Angeles per la rottura del tendine d’Achille. Lunga e movimentata anche la sua successiva carriera da dirigente, che lo ha visto legato soprattutto a Pesaro, e ad altre sei società. Attualmente riveste l’importante ruolo di consigliere federale.
“Il primo Europeo non si scorda mai! Ne ho disputati sei, ho avuto anche la soddisfazione di salire tre volte sul podio, ma l’edizione dell’81 a Praga, dove rimediammo solo un quinto posto, è quella che mi ha procurato una emozione particolare… Per la prima volta partecipavo a un torneo ufficiale con la maglia azzurra, per di più all’estero; io ero ancora un bimbo di vent’anni, il più giovane, avevo soggezione degli anziani, ma loro – devo dire – sono stati davvero fantastici a farmi sentire a mio agio, da Pierlo Marzorati, con cui divisi la stanza quella volta, a Meneghin e a tutti gli altri… Mi aiutarono molto anche in campo, facendomi sentire parte del gruppo, e così sono riuscito a cavarmela, pur non giocando tantissimo, e a ricambiare la fiducia di coach Sandro Gamba, che non finirò mai di ringraziare per come mi ha fatto maturare, dentro e fuori dal campo…”.
“Dalla Nazionale, in quell’Europeo, ci si attendeva tanto, anche perché era reduce dall’argento olimpico di Mosca, ma vi assicuro che l’impresa di riconquistare una medaglia era quasi impossibile… Unione Sovietica e Jugoslavia erano su un altro livello (e noi dovemmo fare subito i conti con loro), ma anche le altre avversarie non scherzavano; la Cecoslovacchia, per esempio, giocando a Praga davanti al proprio pubblico si esaltò a tal punto da diventare un altro ostacolo insormontabile (con quella vecchia volpe di Brabenec che ce ne rifilò una quarantina!)…”
“Forse l’unica partita in cui avremmo senz’altro potuto dare di più fu quella con la Spagna: tanti errori e un solo punto di scarto alla fine… Peccato! Comunque, ripeto, a me quell’Europeo mi è rimasto nel cuore. Anche perché ebbi l’opportunità di visitare Praga, che è una città stupenda; tra le tante cose che ci portarono a vedere, ricordo di essere rimasto particolarmente incantato dai cristalli di Boemia…”.
a cura di
Nunzio Spina
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