Un occhio a Città del Messico… Una Nazionale più matura ma sfortunata e segnata da una tragedia…
All’orizzonte vicino c’era un’altra Olimpiade, quella di Città del Messico, la terza dell’era-Paratore. Ma stavolta gli Europei dovevano essere qualcosa di più di una semplice tappa di avvicinamento. Ormai la Nazionale italiana sembrava avere trovato un eletto domicilio nella parte alta della graduatoria mondiale, e sentiva quindi il dovere – più che l’ambizione – di uscire allo scoperto e di inseguire traguardi prestigiosi in ogni torneo.
Il problema, se mai, fu che sulla strada verso il Messico se ne presentarono diverse di competizioni da onorare, e si finì per pagare il conto. Si cominciò nella primavera del 1967, a cavallo tra maggio e giugno, con i Campionati Mondiali, ai quali gli azzurri prendevano parte per la seconda volta dopo il debutto di quattro anni prima in Brasile. Bisognò ancora trasferirsi nell’America del Sud, in Uruguay, e il nono posto finale (dopo avere perso onorevolmente con Stati Uniti, Jugoslavia e Messico, e avere battuto Paraguay, Giappone, Perù e Portorico) fu da tutti accolto come un buon risultato. Seguì una estate piena di collegiali e tornei, quindi i Giochi del Mediterraneo a Tunisi, in settembre, con un secondo posto alle spalle della Jugoslavia, il massimo traguardo al quale si potesse ambire. Gli Europei subito dopo, dal 28 settembre all’8 ottobre, appena il tempo di rifare le valigie.
Un altro lungo viaggio! Per la prima volta era la Finlandia – terra di nobile tradizione sportiva, già in vetrina con le Olimpiadi del ’52 – a ospitare la manifestazione intercontinentale. Nel basket non è che eccellesse (il suo miglior piazzamento era stato l’ottavo posto nel ’39 a Kaunas, quando le squadre erano… otto!), ma la sua presenza era diventata costante negli ultimi anni, e ogni tanto cercava di alzare la cresta; due anni prima a Mosca, per esempio, aveva procurato un dispiacere alla nostra Nazionale, sconfiggendola di un punto. Ottenere l’organizzazione dell’evento fu già un meritato successo per la federazione cestistica locale. Giocare in casa, poi, sarebbe stata l’occasione buona per scalare un po’ la classifica; occasione che, puntualmente, venne sfruttata.
La formula delle due sedi di svolgimento, sperimentata per la prima volta nella edizione precedente, ebbe subito un seguito. Helsinki, la capitale affacciata sul Mar Baltico, ospitò uno dei due gironi di qualificazione, più le fasi finali; le partite dell’altro girone si disputarono a Tampere, città dell’entroterra ma immersa in una regione di laghi. Ed è proprio qui che venne inserita l’Italia, con la temibile concorrenza di URSS, Bulgaria e Ungheria, e quella più abbordabile di Germania Est, Grecia, Israele e Francia.
La nostra Nazionale si presentava, sulla carta, con un giusto mix tra vecchio e nuovo. Gabriele “Nane” Vianello era il veterano della squadra, al suo terzo Europeo e in vista della sua terza Olimpiade; con lui, il quartetto formato da Bufalini, Masini, Cosmelli e Flaborea dava garanzia di esperienza e solidità. Conclusa la lunga avventura in azzurro di Lombardi e Vittori, e quella un po’ più corta di Pellanera e Gatti, coach Paratore aveva notevolmente ringiovanito i ranghi. Da un anno a quella parte aveva fatto esordire in azzurro un gran numero di giovani, che non esitò a buttare nella mischia di quell’Europeo. C’erano Giulio Iellini, play triestino in forza a Milano, Carlo Recalcati e Alberto Merlati, rispettivamente guardia e centro di Cantù, Gianluigi Iessi, esterno di Padova, e poi Fernando Fattori, Lino Paschini e Gianfranco Fantin. In un torneo amichevole era stato lanciato anche un sedicenne dal fisico possente e spigoloso, che faceva Dino di nome e Meneghin di cognome… Paratore lo teneva d’occhio, in attesa che arrivasse il momento più opportuno per lui.
Ci si aspettava, francamente, un buon risultato in Finlandia. Quanto meno la conferma del quarto posto di Mosca ’65, col malcelato proposito di tentare la scalata a quel podio che mancava ormai da più di vent’anni. In fondo, bastava qualificarsi tra le prime due del girone, un’impresa che (URSS a parte) sembrava alla portata. L’inizio era stato incoraggiante, con i successi contro Germania Est e Francia. Poi due episodi sfortunati misero di mezzo qualche bastone. Il primo accadde alla terza partita, quella contro la Bulgaria, che poteva risultare decisiva. Merlati assaggiò il gomito killer di un avversario, e si ritrovò in sala operatoria nell’ospedale di Tampere, per farsi ricomporre una frattura al naso. Rimasta con un solo pivot, la squadra uscì sconfitta per un solo canestro in quella partita (73 a 71) e fece tanta fatica nelle successive. Qualche giorno dopo arrivò la tremenda notizia della morte del fratello maggiore di Massimo Cosmelli (Maurizio, cestista a Livorno anche lui), che fece subito ritorno in Italia assieme a Merlati. Impossibile riprendersi da questi due colpi durissimi: ci fu la forza di battere Israele e Grecia, non quella di avere la meglio sull’Ungheria, né tanto meno sull’Unione Sovietica, che ci superò con un altisonante – ma tutt’altro che umiliante – 105 a 91 (con ben 29 punti di Masini e 23 di Flaborea).
Con quattro vittorie e tre sconfitte, fu lo scontro diretto con la Bulgaria a negarci il secondo posto nel girone. Helsinki restò nei sogni; si rimase a Tampere anche per il girone di consolazione. Alla fine arrivò un settimo posto da magra consolazione, anche se risultava il secondo miglior piazzamento europeo dell’era Paratore. Non restava che guardare avanti: le Olimpiadi di Città del Messico bussavano ormai alle porte; poi sarebbe stata la volta del primo Europeo disputato in Italia, Napoli 1969.
Titolo all’URSS, per la nona volta, la sesta consecutiva. Imbattuta da sei edizioni. In panchina ancora Gomelski; in campo dei veri fuoriclasse, come il lituano Palauskas, terribile cecchino, o come la guardia Sergej Belov, che aveva esordito, con una medaglia d’oro, nei recenti Mondiali in Uruguay. Entrambi inseriti dalla giuria di esperti nel quintetto ideale del torneo, assieme alle due ali, quasi omonime, della seconda classificata, la Cecoslovacchia, Jiri Zídek e Jiří Zedníček (quest’ultimo premiato come MVP). A completare il quintetto il centro finlandese Vainio, 2 e 05, portabandiera di una Finlandia che, come detto, non si lasciò sfuggire l’occasione propizia di giocare in casa, conquistando un sorprendente sesto posto.
Nunzio Spina
Mosca 1965 – Napoli 1969
Il ricordo di Massimo Masini e Ottorino Flaborea
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