«Mosca ’65, un momento esaltante della mia carriera»… Il tiro a virgola… Un bel torneo in un magnifico palazzetto…
Giovambattista “Nino” Cescutti è nato a Udine, il 13 giugno del 1939. Nella sua formazione sportiva, non solo basket, ma anche calcio e atletica (gareggiò nella velocità a fianco di Livio Berruti). Il primo trasferimento fu nella vicina Trieste, poi il salto a Milano, con la Simmenthal, dove conquistò subito (nel ’58-’59) il suo primo scudetto. Approdato a Pesaro, vi restò per tre stagioni, vincendo per ben due volte il titolo di miglior marcatore. Quindi la militanza nell’Ignis Varese, ricca di successi: secondo scudetto, Coppa Intercontinentale, Coppa delle Coppe. Ala di 1,89, sapeva rendersi pericoloso sia da dalla distanza che spalle a canestro. Esordio in Nazionale nel dicembre del ’59, quindi la partecipazione ai Mondiali del ’63 e agli Europei del ’65. A Udine concluse sia la carriera di giocatore che quella da allenatore.
“All’Europeo di Mosca ’65 vissi un momento esaltante della mia esperienza in azzurro. Potrei ancora fare la cronaca di quello che avvenne nella partita contro la Romania. Perdevamo di diciotto punti nel secondo tempo; il prof. Paratore, che non sapeva più che pesci prendere, mi mandò in campo quasi per disperazione. Sarà stata la rabbia accumulata in panchina, o chissà quale altra alchimia, fatto sta che cominciai a segnare in tutte le maniere, da fuori, da sotto (anche da terra!), col mio particolare tiro “a virgola”, cioè con l’effetto e l’aiuto del tabellone. E a un secondo dalla fine, misi a segno i due tiri liberi che ci permisero di andare al supplementare, e poi di vincere. Fu quella la partita che ci proiettò nella parte alta della classifica…”.
“Eppure, alla fine, non sapevo se gioire o imprecare… Perché sapete cosa fece Paratore? Nel supplementare, dopo tutto quello che avevo combinato, non mi rimise più in campo! La squadra aveva vinto, e questa era la cosa più importante, ma qualcuno dovette rincuorarmi, e ricordo che Claudio Coccia (Presidente della FIP, subentrato proprio in quell’anno a Decio Scuri, n.d.r.) mi regalò il gagliardetto della partita…”.
“Disputammo un bel torneo, a Mosca, tra l’altro in un magnifico Palazzo dello Sport, sempre gremitissimo. Però sprecammo l’occasione di vincere sia l’argento, perché in semifinale con la fortissima Jugoslavia il pallone della vittoria era nelle nostre mani, sia il bronzo, crollando in maniera proprio inspiegabile contro la Polonia…”.
“Non restò altro che consolarci col prosciutto San Daniele che mio fratello ci aveva portato in aeroporto, alla partenza. E avevamo anche una buona scorta di pasta e di riso; il nostro compagno di squadra Guido Carlo Gatti si mise a cucinare con tanto di grembiule, e dimostrò già allora di essere un ottimo chef, oltre che un abile cestista!”.
a cura di
Nunzio Spina
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