Il “cuoco” della Nazionale… Squadra temibile, ma i medici sovietici ci mettono lo zampino… I liberi contro l’Ungheria…
Guido Carlo Gatti è nato a Gubbio, in provincia di Perugia, il 23 aprile del 1938. A scoprirlo, anzi a inventarlo, fu Jim McGregor, che era in giro per l’Italia; lo vide nella palestra della Libertas Perugia – ancora sedicenne – e quasi gli intimò di dedicarsi pienamente al basket, proponendogli anche di trasferirsi subito a Bologna (e qui arrivò il suo primo importante rifiuto). Decise piuttosto di iscriversi al Politecnico di Torino, ma a poco a poco il basket cominciò a entrare nella sua vita: giocò a Torino, poi a Bologna con il Gira. Nel ’59 giunse a Varese, e in cinque stagioni conquistò due titoli tricolore. In Nazionale fece il suo ingresso con Paratore, che lo inserì già nella rosa per le Olimpiadi di Roma, dove però fece la riserva. Partecipò alle Universiadi del ’59, ai Giochi del Mediterraneo e ai Mondiali del ’63, agli Europei del ’65, all’Olimpiade di Città del Messico nel ’68, dopo avere rinunciato a quelle di Tokyo ’64. Ala di 1,92, grazie alla sua prestanza atletica era in grado di esibire una grande elevazione e un gioco spettacolare.
“Volete sapere qual è la cosa che ricordo meglio dell’Europeo di Mosca ’65? I tanti piatti che ho preparato per la nostra comitiva! Proprio così! Come cuoco me la cavavo già allora, e siccome le pietanze che ci preparavano nel nostro albergo erano davvero immangiabili – almeno per noi italiani – non esitai e mettermi a lavoro in cucina, chiedendo e ottenendo il permesso dello chef, che era un francese. Con gli spaghetti loro facevano una sorta di purè davvero improponibile; e poi la carne, era davvero di ottima qualità, ma non avevano proprio idea di quale fosse la maniera giusta per cuocerla… Insomma credo di avere in qualche modo contribuito al buon risultato sul campo, curando l’aspetto nutrizionale!”.
“A parte gli scherzi, ci presentavamo a Mosca come una squadra abbastanza temibile, anche perché a livello intercontinentale, tra Olimpiadi e Mondiali, l’Italia si era fatta rispettare. Eravamo tanto temibili che, secondo me, i medici sovietici non ci hanno pensato su due volte a far fuori uno dei nostri uomini migliori, Paolo Vittori, sostenendo che il malore che aveva lamentato poteva essere attribuito a qualcosa di grave, e così gli vietarono di scendere in campo…”.
“Noi comunque eravamo determinatissimi in quel torneo. A parte l’Unione Sovietica, che era la solita squadra imbattibile, per di più davanti al suo pubblico, abbiamo giocato alla pari con qualsiasi altro avversario. Tutti noi abbiamo dato il nostro contributo… Cosa? Due miei tiri liberi finali hanno permesso di battere l’Ungheria? Si forse, adesso che ci penso deve essere successo qualcosa del genere, perché ricordo che alla fine di una partita sono stato sommerso dall’abbraccio dei miei compagni…”.
a cura di
Nunzio Spina
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