Il longevo cestista friulano racconta la sua esperienza a Budalpest… L’emozione dell’unico Europeo… McGregor e i dinamini…
Gianfranco Sardagna è nato a Gorizia, il 28 maggio 1935. Iniziò a giocare nella sua città, per poi trasferirsi a Venezia, dove vestì la maglia della gloriosa Reyer, che allora militava in serie A. Lo prelevò da là Jim McGregor, che nella sua Nazionale voleva atleti come lui: alto 1,90, aveva una grande elevazione, si adattava al ruolo di ala e di pivot. L’Europeo del ’55, a Budapest, restò l’unico da lui disputato. Ci furono poi due partecipazioni olimpiche (Roma ’60 e Tokyo ’64), che lo videro tra i protagonisti. Subito dopo Budapest emigrò a Bologna, nelle file della Motomorini; poi nel ’57 il grande salto a Milano, in forza al Simmenthal, squadra con la quale conquistò ben quattro scudetti. A Bologna ci fu ancora un intermezzo di due anni, con la Virtus, poi il ritorno definitivo e la conclusione della carriera nella Fortitudo.
“Avevo appena compiuto vent’anni quando mi ritrovai con la maglia della Nazionale a partecipare all’Europeo in Ungheria. Momenti magici come quello non si possono dimenticare! Non c’era certo il seguito di stampa e soprattutto di televisione che c’è adesso, ma ognuno di noi, in cuor suo, si rendeva conto di partecipare a un evento straordinario. Il Nepstadion di Budapest… Se chiudo gli occhi, lo rivedo ancora in tutta la sua imponenza!”
“Si giocavano le partite all’aperto, sì, su un terreno montato con tavoloni di legno che erano un po’ i primi esemplari di parquet. Ma se pioveva si andava in un vicino impianto al coperto, come a noi successe in una partita. Il problema era che il Nepstadion poteva contenere più di 40.000 spettatori, il palazzetto vicino non più di poche migliaia…”
“McGregor aveva portato tante novità dagli Stati Uniti. Una di queste era il pressing difensivo; aveva addirittura coniato un neologismo, i dinamini, per indicare gli uomini deputati ad attuare questa tattica; al suo via, partivano i dinamini, e spesso e volentieri si riuscivano a recuperare tanti palloni. Fu così che riuscimmo a braccare in qualche modo i giganti dell’URSS, perdendo di soli 6 punti, dopo le batoste delle edizioni precedenti. Quella volta, però, i veri fuoriclasse si rivelarono gli ungheresi, soprattutto Greminger, un play-maker davvero formidabile…”.
“Arrivammo sesti, e lo considerammo un buon piazzamento. Ci prendemmo la soddisfazione di battere varie formazioni dell’Est, in particolare la Jugoslavia, contro la quale i nostri triestini (Posar, Bizzaro, Lucev, Damiani) giocavano con una determinazione particolare, per i ben noti motivi di confine…”.
a cura di
Nunzio Spina
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