Il cestista di Trieste e Livorno, oggi 83enne, racconta l’esperienza del campionato di Mosca 1953 con la Nazionale italiana… Il pubblico dello stadio della Dinamo…
Stelio Posar, nato a Trieste il 25 febbraio 1933, è cresciuto cestisticamente nel prolifico vivaio della Ginnastica Triestina. Play-maker di ruolo, all’età di 20 anni venne notato da Vittorio Tracuzzi, che aveva bisogno di ringiovanire la Nazionale in vista degli Europei del ’53 a Mosca. Fu quello il primo di tre Europei consecutivi ai quali Posar prese parte (lo ritroveremo a Budapest ’55 e a Sofia ’57). Nel campionato italiano si trasferì presto a Livorno, e là praticamente rimase fino alla fine della sua carriera, con un intermezzo di due stagioni (dal ’57 al ’59) a Bologna nelle file della Fortitudo. Smise di giocare a 35 anni, e intraprese poi l’attività di istruttore, sempre a Livorno, città nella quale tuttora vive.
“Il ricordo più nitido di quel maggio del ’53 a Mosca, e che mi fa ancora emozionare, è quello del pubblico che gremiva le tribune dello stadio della Dinamo. Saranno stati 40, 50 mila spettatori! Erano distanti dal terreno di gioco (una pedana in materiale simile al bitume, montato sul campo di calcio), ma la loro presenza creava una atmosfera assolutamente particolare, che non ho più rivissuto in seguito”.
“E dire che a quell’Europeo avevo rischiato di dovere rinunciare all’ultimo momento. Trieste, in quegli anni post-bellici, era «Territorio Libero», amministrato dagli Angloamericani, e quindi io e Nicola Porcelli, triestino come me, non ottenemmo l’autorizzazione a partire con la squadra. Dovemmo scomodare consolati e ambasciate, e soggiornare tre giorni a Vienna, ma alla fine ci riuscimmo a raggiungere Mosca, seppure a torneo iniziato. Per me era una questione di amor proprio: mi sentivo italianissimo, e a quella maglia azzurra ci tenevo più di ogni altra cosa!”.
“Tracuzzi era un tecnico che sapeva il fatto suo, e io ovviamente gli devo molto per avermi portato in Nazionale. Non ebbe molto tempo a disposizione per preparare a dovere una squadra così tanto rinnovata come quella che si presentò a Mosca; ma nonostante questo portammo a casa un settimo posto che non era proprio da buttare. Le squadre dell’Est erano decisamente superiori a noi, ma devo dire che solo l’URSS ci sconfisse in maniera netta. Sicuramente potevamo fare di più, se è vero che riuscimmo a battere la Francia, poi vincitrice del bronzo”.
“Comunque, quella fu davvero una grande avventura per me. Era la prima volta che l’Unione Sovietica apriva le sue frontiere per una manifestazione sportiva, e si sentiva davvero – per le strade e tra la gente di Mosca – questo clima da apertura di una nuova epoca. E noi ci divertimmo molto con quei mattacchioni di Cesare Rubini (anche lui triestino, ma già trapiantato a Milano) e di Alberto Margheritini…”.
a cura di Nunzio Spina
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