Le tappe del giornalista dell’Unità e del Giornale del Sud, giocatore, allenatore e «addetto stampa da un articolo l’anno»… Gli inizi a piazza Spedini, da Puglisi ad Alberti… I migliori cadetti di sempre…
Mi chiama Alessandro Russo. «Ho comprato il cd con le copie del “Giornale del Sud” del 1980! – dice d’un fiato – La fondazione Fava ha scansionato le uscite del quotidiano fondato e diretto da Pippo Fava e ora possiamo leggerle una per una in cerca di nuovi spunti! Andò in edicola per appena due anni e mezzo, ma il suo impatto fu fortissimo e diede l’impulso per la nascita de “I Siciliani”. Sicuramente sarà una miniera d’informazioni».
Inizio a sfogliare i pdf avidamente. Non ci sono i lunedì, quindi niente tabellini, ma le vicende dello Jägermeister, dello Sport Club, dell’Amar e del Cstl sono comunque raccontate, tutte a firma di Enrico Maugeri. “Ficcanaso a canestro” era il nome della sua rubrica pungente, in cui descriveva un campionato che si sarebbe concluso senza particolari successi per le quattro squadre cittadine. Mentre Angelo Destasio si affermava in Serie A1 e Priolo esordiva in A2, Catania rimaneva nel suo infinito dilemma tra dilettantismo e la voglia di un salto di qualità che non arrivava mai.
Maugeri era uno degli elementi più versatili del basket catanese anni settanta e ottanta. Come cronista ha lasciato la sua impronta, prima di collaborare con il “Giornale del Sud”, su “Il Canestro Etneo” di Nunzio Spina, il suo ex compagno di squadra che sarebbe stato la sua controparte cestistica sulle pagine de “La Sicilia”. Si occupò di sport anche per “L’Unità”, che all’epoca aveva una diffusione tra le 200 mila e le 250 mila copie giornaliere (oggi ne registra un decimo).
«Mio padre scriveva per il quotidiano voce del Partito Comunista e riteneva che per fare giornalismo occorresse un titolo ed una specializzazione – mi racconta Maugeri, che lavora in banca –. Lui, che non avrebbe mai speso una parola per suo figlio, mi disse: “Se vuoi fare il giornalista scegli una laurea che abbia attinenza con ciò di cui ti vuoi occupare, qualcuno valuterà se sei in grado di fare questo mestiere”. Decisi di occuparmi solo di sport. Per “L’Unità” seguivo il Catania Calcio. Erano gli anni della presidenza di Angelo Massimino, che mi bloccò gli accrediti e costrinse così il giornale a rimborsarmi i biglietti. Seguii la squadra anche agli spareggi di Roma, andai negli spogliatoi, intervistai i giocatori… Claudio Ranieri mi stupì, ha uno spessore umano che va oltre l’aspetto sportivo, è un professionista serio e un uomo di grande maturità che è rimasto profondamente legato alla città. Ennio Mastalli però era il più forte, intelligente tatticamente e grandi capacità tecniche; capiva quando accelerare l’azione o congelare il pallone, con grande naturalezza».
La digressione sul calcio è fondamentale per capire la poliedricità del personaggio. La sua bravura a interpretare più ruoli era chiara sin dai suoi primi passi nella pallacanestro, avvenuti al Palazzetto di piazza Spedini. «Vidi giocare Pippo Famoso, che ai salesiani faceva cose strabilianti, e fu lui a portarmi allo Sport Club». Santi Puglisi, artefice della miglior fucina giovanile dell’epoca, gli diede una maglietta e a 18 anni lo lanciò in prima squadra, in Serie C. «Fu in trasferta a Benevento, ma giocai solo per caso: c’erano tanti infortunati!» Nelle giovanili si completava con Nunzio Spina: «Lui aveva la capacità di adattarsi al gioco degli avversari, era estremamente rapido e gli era facile giocare in contropiede. Io avevo un gioco più cadenzato, ma eccellevo nel tiro da fuori». Riuscì ad esordire in B, ma la partenza di Puglisi per Roma e l’arrivo di Elio Alberti lo costrinsero a cambiar ruolo: «Agivo come guardia o ala, ma Alberti mi faceva giocare play. I risultati non erano il massimo: contro Ninni Gebbia, ad esempio, non riuscivo a superare la metà campo!»
Iniziò intanto a collaborare con il suo nuovo coach curando le squadre giovanili, finché non si fermò per passare totalmente in panchina, al Gad sponsorizzato Jägermeister, come vice di Enzo Molino. «Era il 1977-’78, fu l’anno migliore del basket catanese – ricorda –. Il clima dei due derby aveva risvegliato vecchi entusiasmi e dato motivazioni in più, senza comunque raggiungere risultati eclatanti. Probabilmente per le difficoltà storiche (l’assenza di tecnici e la difficoltà nel reperire risorse) la Serie B sarebbe stata il massimo traguardo possibile, fu un peccato non riuscire ad essere promossi sul campo. Mentre per il Mecap il salto non riuscì perché non c’erano più le necessarie risorse economiche, allo Jäger si fallì perché la squadra era troppo giovane ed Enzo Molino aveva un rapporto da fratello maggiore con i giocatori, non riusciva a ottenere il massimo nei momenti di difficoltà. Rolando Rocchi sarebbe stato utilissimo quell’anno».
Il posto al fianco di Molino permise a Maugeri di curare anche una delle squadre giovanili più forti di sempre. «Erano i cadetti classe ’62, con Nicolosi, Calì jr., La Fauci, Cantone e Destasio. Su Angelo apro una parentesi. È sfuggito a tanti che anche nel primo anno di Rieti, pur non giocando tanto, lui diventò il pupillo della squadra, degli americani; alcuni hanno detto che non difendeva, ma in A1 non era un caso che gli affidassero il giocatore più forte: sapeva difendere, eccome! Tornando ai ’62 del Gad Etna, arrivarono alle finali nazionali passeggiando, vincendo anche contro la Viola a Messina. Fu un peccato non poter andare con loro a Castrocaro per motivi di studio».
Mentre iniziava anche la sua esperienza da giornalista, Maugeri tornò in campo, allo Sport Club (con un intermezzo di qualche mese a Noto), e lasciò il parquet nel 1983-84 per allenare con Elio Alberti da tutor. Nel continuo tira e molla, riprese la via per il Sud, ancora a Noto due stagioni, una da giocatore, una da allenatore. «La squadra netina era molto forte, ma fu promosso il Mineo di Curella. I dirigenti d’allora, però, non programmarono bene e mancò il risultato malgrado in squadra ci fossero ragusani di qualità e avessimo un grande seguito. Non ci fu comunione d’intenti». A quel punto, dopo l’ultima esperienza in D proprio al Mineo, iniziò una nuova avventura.
«Dopo la scomparsa della vecchia società, per la rinuncia all’iscrizione ai campionati, Natale De Fino decise di rifondare lo Sport Club trasferendosi a Gravina. All’esordio in Promozione vincemmo tutte le partite, compreso lo spareggio con il Santa Maria di Licodia a Giarre, poi in Serie D la squadra non andò altrettanto bene perché il torneo era impegnativo e i giocatori non avevano tempo e volontà per tornare a sacrificarsi come qualche anno prima. Fu comunque un modo bello di chiudere con il basket, per l’ambiente che aveva creato il presidente».
Il lavoro infatti lo portò lontano da Catania. «Non potevo più conciliare la mia attività con lo sport. Sono tornato nel 2008 e allo Sport Club Gravina sono sempre molto legato, pur non ricoprendo alcun ruolo all’interno della società. Il presidente De Fino dice scherzosamente che sono un addetto stampa da un pezzo l’anno. Per un incarico vero c’è sempre tempo, chissà magari proprio dalla prossima stagione… ».
Roberto Quartarone
Twitter: @rojoazul86
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