Intervista alla guardia scuola Cus Catania… «Da neopromossi al concentramento per la DNA»… «Il gruppo ha trovato qualcosa in più»… «Dispiace per il Gravina»…
Francesco Mauceri, 26 anni, dieci anni fa era una delle promesse del basket catanese, emigrato a Reggio Emilia per crescere cestisticamente dopo aver mosso i primi passi al Cus Catania. Da guardia è cresciuto fino alla vittoria da protagonista dello scudettino Under-19 con la Pallacanestro Reggiana e all’esordio in Serie A1. Poi si è assestato come uno tra i cecchini più temibili della C1 emiliana, come bandiera e vice capitano di Mirandola. Appena un anno fa, è giunta la promozione in DNB, pochi giorni fa il secondo salto di fila, in DNA, dopo il concentramento contro Reggio Calabria e Corno di Rosazzo.
«Siamo partiti da neopromossi – ci racconta – per raggiungere la salvezza il prima possibile. Pian piano ci siamo resi conto del nostro potenziale e abbiamo capito che potevamo giocarci il campionato. In semifinale abbiamo vinto contro la campionessa della stagione regolare e in finale abbiamo affrontato Lucca che si è imposta di un punto in gara-3. Non era un caso se eravamo arrivati fin là. Il concentramento non è partito benissimo, io mi sono stirato in gara-3 contro Lucca e non ho potuto giocare, Matteo Bastoni, la guardia titolare, s’è rotto il tendine d’Achille nella prima partita al primo minuto. Tra delusione e infortuni sentivamo che era finita. La prima gara l’abbiamo persa di cinque, nella seconda non avevamo nulla da perdere, ma in realtà ci siamo riusciti e abbiamo vinto!»
E l’impresa è ancor più sensazionale se si considera che Mirandola è stato tra i comuni emiliani più colpiti dai terremoti di maggio, in pieno periodo dei play-off. «Abbiamo vinto – prosegue Mauceri – perché siamo forti come squadra e abbiamo costruito un gruppo che ha trovato qualcosa in più per risolvere i problemi, terremoto compreso. Due miei compagni non sono tonati in casa, io ho dormito in tenda per dieci giorni. Con il palazzetto inagibile ci siamo allenati anche a 60 km di distanza. È stata dura, ma eravamo talmente uniti! In un concentramento così, vince chi ha più cuore. La mia casa è piena di crepe, ma non sui muri portanti, c’è da rifare tutto».
L’adattamento alla nuova categoria non è stato facile: «In C avevo un ruolo da protagonista, in DNB il mio ruolo è stato gestito partendo dalla panchina. L’ho accettato e l’ho rispettato con grande impegno, adattandomi però poco a poco, dopo aver fatto fatica all’inizio. Nella seconda parte del campionato, le mie percentuali si sono alzate e anche ai play-off sono riuscito a mettere punti importanti. Le prime quattro-cinque erano veramente forti, le prime due-tre avevano giocatori nel quintetto che giocavano in B1 o A2. Peccato che non ho potuto giocare il concentramento finale, ma va bene così!»
Partendo dai festeggiamenti, diamo uno sguardo al futuro della guardia etnea: «Dal punto di vista dello sport mi piacerebbe rimanere in DNA e anche alla società. Ma le regole sugli under mettono un freno, da qualche parte dovranno tagliare di più. Non so quante speranze ho di rimanere, la scelta sarà condizionata. Per lo studio, sono all’ultimo anno della specialistica e continuerò il mio percorso cestistico non tralasciando l’università. Continuerò a cercare di dare il massimo in entrambi i campi, anche grazie al supporto della mia famiglia, che sento sempre vicina e che ringrazio per tutto quello che fa per me».
E, parlando di famiglia, non si può che rivolgere un pensiero alle squadre siciliane di quest’anno: «Mi dispiace tantissimo per il Gravina, conosco la società e i giocatori, molti li vedo spesso al campetto d’estate. Vanno avanti da tanti anni contando sulle proprie forze, si meritavano di rimanere in DNC, ma sono convinto che continueranno a scrivere pagine del basket. Ho visto che dall’altro lato della Sicilia hanno fatto squadre toste: a Trapani e Agrigento erano sul piede di guerra e quasi si sapeva già che sarebbero state promosse. Sono contento perché così si fa il tifo per la Sicilia e per il basket, spero che queste promozioni siano un incentivo per continuare».
Roberto Quartarone