I primi campionati nella palestra Umberto I… Lo sguardo di Palmieri… In guerra in giro per l’Italia… La difficile ricostruzione… Il Cus e la Società Sportiva… La femminile e la chiusura nella pallanuoto…
È un nome che può dir poco oggi: Gigi Marletta. Eppure, negli anni cinquanta era conosciuto da tutti nel piccolo ambiente della pallacanestro etnea. In quegli anni era già maturo, ma tutti lo ricordavano come un ragazzo muscoloso ma non altissimo, che giocava a basket sin da quando ancora era uno sport di nicchia, noto a pochi e praticato a livelli molto amatoriali e con regole incerte. È stato un pioniere, uno dei pochissimi che può vantarsi d’aver giocato in Serie B nel ’41 e di aver partecipato attivamente all’ardua rinascita nel dopoguerra.
Se i primi passi nella palla al cesto Marletta li muove nella parrocchia dei Santi Cosma e Damiano, è a scuola che trova la notorietà. Il Reale Liceo Scientifico ha un grande privilegio rispetto a tutti gli altri istituti scolastici: le lezioni si tengono al monastero dei Benedettini. L’immensa struttura, oltre agli infiniti corridoi e alle aulette raccolte, può contare su tre chiostri. Quello che era il luogo per eccellenza dedicato alla “mens sana”, al silenzio e alla preghiera, diventa la sede del “corpore sano”, dove gli studenti svolgono le ore di ginnastica. Il secondo chiostro è una sorta di palestra comunale, dove fuori dagli orari scolastici giovani e meno giovani si cimentano nella palla al cesto, nella pallavolo, e addirittura nel baseball. Per Marletta il compito è troppo facile: a scuola non ci sono né compagni né avversari del suo livello.
Dal portico del chiostro si affaccia spesso Giuseppe Palmieri. Bolognese, un passato da cestista con la nascente Virtus, il partito l’ha ingaggiato per occuparsi del Guf e della Gil, in altre parole di tutte le squadre di basket cittadine. Gli universitari hanno già raggiunto un buon grado di affiatamento e partecipano regolarmente alla Prima Divisione. I giovani del littorio, ancora scolari, sono in cerca degli elementi giusti per essere più competitivi. L’occasione propizia per pescare nuovi nomi è un torneo di Seconda Divisione, vinto dalla Gil Casalini. Tre dei campioni, gli “arcieri precisi e infallibili” Naselli, Paterna e Marletta, entrano nelle grazie dell’allenatore, che li prende con sé in Prima Divisione. All’esordio nel campionato per avanguardisti, Gigi Marletta è titolare e protagonista della travolgente vittoria sull’Enna.
Da matricola, comunque, la fiducia è sempre limitata. L’anno della consacrazione è il secondo, in cui è un punto di forza della squadra iscritta in Prima Divisione Gil. Le avversarie sono poca cosa, ma è anche vero che il quintetto etneo è pronto per palcoscenici più importanti. Abile nello smarcamento, veloce e intelligente nel gioco d’attacco, il diciottenne Marletta compone con Naselli, Mangano, Fragalà e Lajacona un quintetto che vince nettamente il girone. Ed è anche pronto per la Serie B. Si tratta ancora di un campionato poco più che regionale, ma con il diploma in mano il passaggio al Gruppo Universitario che disputa il campionato superiore è automatico. La parentesi è breve ma è importante perché si tratta dell’ultimo torneo di alto livello: è iniziata la guerra da qualche mese, pensare allo sport è abbastanza difficile.
Così Catania si ritrova con tanti ragazzi ormai esperti, costretti però a giocare fra loro per la conquista di piccoli trofei. È il caso della “Coppa Chiesa”, vinta dalla squadra di Palmieri e che il Guf di Marletta diserta all’ultima giornata. Ma c’è anche l’occasione di qualche sparuto torneo interguf, come lo “Zaccheria” di Foggia, vinto dominando su Pesaro (Marletta segna 14 punti) e superando i padroni di casa.
La guerra comunque sta finendo, la Sicilia è presto liberata e pian piano si riparte a giocare slegati dalle politiche del partito. È un basket meno propagandistico e che trova meno spazio, ma ritrova una dimensione giusta per tutti i giocatori locali. Così la Fip locale organizza una serie di tornei cittadini, uno dopo l’altro, senza sosta. Si gioca alla palestra Umberto I d’inverno, al lido Casabianca d’estate, al campo del cinema Giardino nelle grandi occasioni. Gigi Marletta riparte dalla squadra del Centro Sportivo Italiano, con cui vince un campionato e partecipa alle finali regionali del 1945. Ma è tempo di partire, mentre il neonato Giglio Bianco dei suoi amici partecipa alle finali interregionali del campionato italiano, Marletta è in Puglia, dove svolge il servizio militare e contemporaneamente gioca in Seconda Divisione con i Ferrovieri di Taranto, con cui giunge anche quarto al Trofeo Primavera di Teramo, eliminato in semifinale dalla Libertas Roma di un giovanissimo Giancarlo Primo.
Al suo rientro a casa, la situazione della pallacanestro etnea è di calma piatta. Si gioca solo all’Umberto I, non si organizzano più nemmeno i tornei perché mancano i palloni e le attrezzature sono ormai obsolete. Non c’è nemmeno una nuova generazione di giovani pronti a subentrare ai ragazzi prodotti dalla Gil. Marletta comunque continua ad allenarsi con i vecchi compagni, spesso davanti a un pubblico di ragazzine. Una di loro, Angela, la più assidua, anche lei giocatrice di basket a scuola, lo guarda con occhi sognanti e lui un giorno si decide e la va a conoscere: diventerà sua moglie.
L’esperienza del Giglio Bianco dura poco, ma i giocatori non tardano a trovare una nuova maglia da rappresentare: nasce il Centro Universitario Sportivo. In quattro e quattr’otto la squadra è fatta e Marletta ne è uno dei veterani. Si vince subito il titolo di campioni della Sicilia: le facili affermazioni sull’Enna sono solo frutto della maggior esperienza, ma alla squadra manca qualcosa e soffre contro i Ferrovieri di Messina. «Si è nettamente imposto su tutti per la sua tempestività nel ricevere e nel dare il pallone – scrive “Il Domani” di Marletta, l’unico a dimostrare idee chiare insieme a Ventura –, segno questo di liberarsi “ad hoc” dall’avversario. Però, raccomandiamo vivamente di svestirsi (e come lui tutti quelli che stanno in campo) dalla non lieve responsabilità dei cambi». Pur mancando un allenatore, la squadra giunge alle finali di Messina, dove vince il titolo per quoziente reti.
Il problema della guida tecnica non è risolto nemmeno al momento dell’iscrizione alla Serie C 1948-’49. Ma poco importa, non serve perché le avversarie del gironcino iniziale sono più che abbordabili (Messina e Modica offrono poche resistenze). Marletta è «quadrato e tempestivo», «calmo nei suoi riflessi, senza esibizionismi a distanza, anzi sacrificando qualche pallone che poteva essere tentato a girato al canestro, pur di servirlo al meglio piazzato»: così lo vede Placido Aricò, che a Modica si azzarda a definir lui, Mangano e Lajacona «demolitori delle speranze locali». Nelle semifinali interregionali, però, Marigliano vince la sfida decisiva e il Cus si ferma al secondo posto. Si potrebbe anche accedere alle finali, ma la commissione tecnica non ammette la squadra catanese.
La decisione provoca un terremoto federale, i dirigenti siciliani minacciano addirittura la scissione dalla FIP, ma c’è chi fa notare che tutte queste polemiche danneggiano solamente lo sport locale: non si gioca più. Per un anno tutte le attività senior sono praticamente bloccate, ma non quelle di base. Gigi Marletta diventa allenatore federale e rimane nel CUS come tecnico della formazione juniores. Entra poi a far parte dell’ambizioso progetto della S.S. Catania, la polisportiva legata alla squadra di calcio, ed è l’elemento di spicco insieme al compagno di una vita Giuseppe Mangano del quintetto che vince la Serie C siciliana e accede agli spareggi interregionali. Si distingue per la sua visione di gioco, il suo buon tiro alla distanza, la sua tenace difesa, ma nella via per la Serie B non riesce a fare la differenza: manca nella vittoria sulla Juventus Napoli, non incide contro l’Ina Taranto.
Il fallimento del progetto della Società Sportiva gli impone un passo indietro. Accetta di prendersi carico della Ciclope, squadra femminile, ma anche del Giarre, e quando serve fa anche l’arbitro. Con i gialli della provincia viene a giocare anche Gigi Mineo e il girone provinciale di Prima Divisione è vinto senza troppo sudare; all’occorrenza, Marletta scende in campo e fa la differenza, come contro il Convitto Cutelli. Alle finali della Sicilia Orientale, però, c’è una stella nascente che impedisce di andare avanti: la Virtus Ragusa, che vince il girone a tre. Poco importa: Giarre viene ammesso comunque in C e lì Marletta rimane nella doppia veste di capitano-allenatore. La squadra si salva all’esordio, ma non sempre tutto va per il verso giusto. A Catanzaro, ad esempio, dilapida un vantaggio di oltre dieci punti e torna a casa sconfitta a causa dell’aggressività degli avversari e della mancata sostituzione degli uomini migliori. Il capitano, per una volta, si traveste da giornalista con lo pseudonimo di Pendolo.
«Di fronte a questa situazione – scrive sul “Corriere di Sicilia”, a proposito dell’eccessiva aggressività dei catanzaresi e della loro conseguente rimonta – anche il più scadente dei dirigenti giarresi avrebbe prese le necessarie contromisure sostituendo parte, o se occorreva, tutti gli atleti in campo. Invece si volle insistere sulla formazione base. Complici diretti del dirigente i giocatori in campo, i quali, vista la piega che prendeva la partita, visto che qualcuno di loro si trovava già al quarto “personale”, visto che qualche altro era già stato colpito duramente, avrebbero dovuto chiedere di essere sostituiti».
Già a fine anno, in occasione dell’amichevole contro la Cestistica Messina in cui gioca per l’occasione il nazionale Vittorio Tracuzzi, Marletta non figura più tra le file del Giarre. Ritorna a breve a Catania, in cui continua un’attività di base con la piccola Libertas Ventimiglia, squadretta in cui può continuare a giocare in tranquillità e allenare qualche giovane interessante. Nel 1956-’57, suo ultimo anno, si toglie anche la soddisfazione di battere sia all’andata che al ritorno la Grifone del vecchio compagno Pippo Mangano, che dalla stagione successiva avrebbe iniziato la scalata verso la Serie A.
A quel punto, Marletta si allontana dall’ambiente del basket, in cui è conosciuto da tutti ma a cui sente di non poter contribuire come vorrebbe. Ha dato tanto, ma ora la sua passione si sposta su un altro sport molto in voga e in grande ascesa: la pallanuoto. Diventa arbitro e commissario. Si racconta di più di una partita in cui un pallanuotista gli tira un brutto scherzo e lo fa cadere in acqua, dalla barca da cui dirige la gara. Un’altra volta, ad Acicastello, la moglie lo assiste tra il pubblico, affacciata al parapetto della piazza Castello; un signore s’infuria per una decisione contro una delle due squadre e le dice: «Ma che cornuto quest’arbitro, vero?» La signora sorride nervosamente e si sposta più in là…
Ogni tanto, porta i figli Toti e Piera a vedere le partite al campo di Cibali. Guarda le nuove generazioni che giocano una pallacanestro diversa da quella che lui ha visto nascere e crescere a Catania. La classe c’è, comunque, e si vede: un giorno, prima di una partita, scende in campo in giacca elegante, prende un pallone da centrocampo e lo mette a canestro, come se non avesse mai smesso di giocare. E per tutta la vita la palla e il canestro hanno rappresentato per lui un’attrazione irresistibile! Gigi Marletta, Gino per la moglie e la famiglia, se n’è andato il giorno di Pasqua del 2006, lasciando il ricordo lontano di uno sportivo vecchio stile, a tutto tondo, capace di passare dal campo di basket alla piscina, ricoprendo tutti i ruoli e mettendo in gioco sempre grande impegno, passione e competenza.
Roberto Quartarone