Il pivot fa il dimostratore all’Orange Camp… «Mi riprendo dagli infortuni, non so dove giocherò»… «Grande soddisfazione a Capo d’Orlando»… «In Sicilia ci vogliono progetti consoni alle possibilità delle società»…
Alessandro Agosta è uno dei migliori cestisti siciliani sulla piazza. Pivot di 203 cm, cresciuto nella Viola Reggio Calabria, svezzato dalla Virtus Siena, dopo aver assaggiato il professionismo a Trapani e Novara ha trascorso un biennio tra Gragnano e Modena ed è quindi tornato a casa per abbracciare il progetto di Siracusa come uomo-simbolo dei biancoverdi. Quest’anno ha conquistato la Lega3 con la maglia dell’Orlandina. Lo incontriamo su un divano del villaggio Kastalia, in una pausa all’Orange Camp, a cui è presente come dimostratore.
«È un’esperienza divertente, utile per staccare dopo una stagione lunga! Mi sono fatto incastrare tre anni fa da Paolo Marletta»… Durante la mattinata, dopo aver firmato qualche maglietta e scherzato con i bambini, Agosta ha dimostrato anche la sua bravura e ha cercato di non farsi convincere a schiacciare, che è la richiesta più gettonata. Con un sorriso e una battuta, ha fatto sognare i piccoli aspiranti cestisti. «Quand’ero piccolo e andavo ai camp, guardavo con gli occhi sgranati Scarone e tentavo d’emularlo. Non posso paragonarmi a lui, ma spero che i ragazzi di qui possano fare lo stesso con me. Abbiamo bisogno di nuove leve siciliane!»
La stagione vissuta a Capo d’Orlando, con una squadra che ha vinto il girone e i play-off contro la Viola Reggio Calabria, è stata rovinata da un infortunio al ginocchio che gli ha fatto perdere buona parte della stagione regolare.
«Il ginocchio ora sta bene, ma nei play-off si è aggravato il dito. Per agosto sarò pronto e mi sto guardando attorno. Ancora non so con chi starò, anche perché l’Orlandina non sa se farà la Legadue o meno. La mia intenzione è chiara: non voglio spostarmi dalla Sicilia, quindi le possibilità ci sono ma limitate. Ad Acireale stanno facendo un progetto importante… Chissà!»
È vero che lo scorso anno ti aveva cercato la Pallacanestro Catania?
«Sì, a luglio 2010 mi fecero un’offerta interessante dal punto logistico ma economicamente povera, viste le possibilità che avevano. Per fortuna non presi in considerazione la proposta e mi accordai con l’Orlandina, perché poco dopo la squadra sparì… Malgrado la sfortuna dell’infortunio, sono felice perché ci siamo tolti una bellissima soddisfazione vincendo da favoriti, e non è facile, vincendo nettamente gara-1 e gara-3».
Perché sei tornato in Sicilia?
«Sono qui da quattro anni, dopo il fallimento di Modena, che fu una delle motivazioni che mi spinsero a rientrare a casa. Mi sono reso conto che non ne valeva più la pena. Mi piaceva girare l’Italia, ma è un lavoro e sacrificarsi, sia io che la mia famiglia, per non essere nemmeno retribuiti è irritante. Con la famiglia ho deciso così che era meglio ritornare. Finora sono stato felicissimo. A Siracusa, il primo anno è stato pieno di soddisfazioni e anche il secondo lo sarebbe stato fino alla fine, ma si è chiuso prima del tempo e m’ha lasciato l’amaro in bocca. A Capo d’Orlando, come ho detto, è stato bellissimo».
È in crisi il basket siciliano?
«Il discorso è capire che succede a Trapani, è un momento abbastanza complicato. Anche Patti è in difficoltà. È una situazione contingente difficile in tutta Italia, tanti amici hanno arretrati e assegni postdatati. Per le mie ambizioni e il mio attaccamento alla terra, spero che il movimento siciliano cresca e diventi un’area importante perché i ragazzi crescano come giocatori e come persone. Ci vogliono i fondi e non è sempre così facile. Ma la speranza c’è, come ad esempio a Siracusa, dove pare che sia scomparso tutto, ma in futuro rivitalizzeremo l’ambiente, che si è dimostrato entusiasta nei due anni in cui ho giocato lì».
Qual è la soluzione, allora?
«Bisogna tenere acceso il focolaio di passione. Anche Capo d’Orlando, che aveva quattromila spettatori in A, ha perso tanto pubblico in C, quando andavano trecento persone al PalaFantozzi… Quest’anno nei play-off la gente è tornata e siamo arrivati a tremila presenze. Sono convinto che vale di più vincere una C1 che arrivare ultimi in A, per cui bisogna fare dei progetti che siano consoni alle possibilità. A Siracusa si puntò troppo in alto e la società si bruciò. Speriamo che non succeda più: ci sono presidenti che si fanno prendere dalla passione e alla prima difficoltà… buonanotte! E la federazione non è che aiuti…»
Roberto Quartarone