Il basket al tempo delle… pesche!

«Huh, another new game!»… Come nasce una passione chiamata pallacanestro!

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Springfield, 20 gennaio 1892. Naismith e i suoi giocatori. Nasce la pallacanetro

La foto è di quelle che raccontano da sole la propria storia. Questi signori che fissano l’obiettivo quasi con aria di sfida – avvalendosi per lo più di energici mustazzi – sono i veri pionieri del basket mondiale. Avevano appena giocato (o forse si apprestavano a farlo) la prima partita di uno sport completamente nuovo, al quale non si era ancora fatto in tempo a dare un nome di battesimo. Nei loro volti sembra ci sia la consapevolezza dell’importanza del momento, la sensazione che proprio quello fosse l’inizio di un’epoca. Altri particolari si possono cogliere qua e là, nonostante l’immagine sia in apparenza alquanto scarna e un po’ annebbiata dalla foschia del tempo. Un ritratto da leggere, insomma, più che un’istantanea da osservare.

L’uomo vestito in borghese, con giacca e gilet, è il dottor James Naismith, colui che di questo sport è stato inventore e profeta. Il 21 dicembre del 1891 – un mese prima della data relativa alla foto – aveva dettato i principi del nuovo gioco: l’elemento base era sempre una palla, come in tante altre discipline allora in voga, ma andava gestita esclusivamente con le mani e l’obiettivo che si doveva raggiungere era quello di lanciarla verso un bersaglio (mettiamola così) posto in alto. All’interno del college di Springfield, città del Massachusetts nel nord-est degli Stati Uniti, gli inverni scorrevano freddi e noiosi; come recreation-worker, figura a metà tra professore di educazione fisica e animatore, Naismith sentì il dovere di escogitare un qualcosa che permettesse ai suoi allievi di tenersi in forma (e di divertirsi) restando nel chiuso di una palestra. Trasferire o adattare il football, il baseball, il cricket, non era affatto conveniente. Bisognava proprio inventare, tirar fuori una idea rivoluzionaria: così, dalla sua mente, uscì il basket!
Aveva 30 anni Naismith. A Springfield si era appena trasferito dal Canada, lasciando la vicina provincia dell’Ontario, dove era nato e cresciuto. Il titolo di dottore era stato ampiamente legittimato dal conseguimento di più di una laurea, fin quando aveva prevalso in lui il proposito di diventare un ministro presbiteriano, predicatore della chiesa protestante. Fu lo sport a fargli cambiare rotta; ma la propensione a educare, a coinvolgere i giovani, a farsi promotore di buone iniziative, gli restò tutta dentro. Quando intraprese l’insegnamento alla International Young Men’s Christian Association Training School di Springfield (l’acronimo YMCA suona più familiare), aveva parecchia energia da sprigionare e altrettanta voglia di rendersi utile al prossimo. Il freddo dell’inverno – a quel punto – non fu che un pretesto.

Per mettere in pratica la sua idea non perse tempo.
Fece provare subito ai suoi ragazzi: tu passa la palla a lui, lui prova a lanciarla (con le mani, mi raccomando!), quell’altro cerca di contrastare, mettiamo un cestino dei rifiuti lì in alto sulla parete…
In pochi giorni, da quella mente fertile erano anche venute fuori le prime fondamentali regole: il pallone può essere lanciato in qualsiasi direzione, con una o più mani; può essere schiaffeggiato, non colpito a pugno chiuso; non lo si può portare per il campo, correndo o camminando; è vietato caricare, spingere, sgambettare, trattenere un avversario; si segna un punto quando il pallone entra dentro il «contenitore» e vi rimane; il segnapunti tiene anche conto dei falli, ogni fallo un punto, chi ne commette tre viene espulso; si gioca per due tempi da 15 minuti, vince la squadra che ha totalizzato più punti.

Che ne dite? Tanto diverso dalle regole di oggi?
Ci fu il Natale di mezzo. Poi arrivò il momento della prima esibizione ufficiale: 20 gennaio 1892. Erano diciotto i discepoli di Naismith, e per non far torto a nessuno (è proprio il caso di dire che fin dalle origini gli allenatori erano attanagliati da certi scrupoli!) decise di farli giocare tutti contemporaneamente, mettendo a confronto due formazioni composte da nove giocatori ciascuna. E quelli che vediamo nella foto, con ogni probabilità, sono i nove elementi di una delle due squadre… Ci pensò lo stesso Naismith a ridurli poi a sette (accorgendosi della gran confusione che si creava in campo), ma dovette passare un bel po’ prima di arrivare agli attuali cinque: avvenne per la prima volta il 20 marzo del 1897, quando l’ Università Yale sfidò e sconfisse (23 a 10) l’ Università di Pensylvania, nella partita che fu considerata il primo grande evento promozionale. Per quei nove elementi in campo, tuttavia, ci fu il tempo di vedersi assegnato un preciso ruolo, con termini che tradotti in italiano sembravano più adeguati allo schieramento di una squadra di calcio che altro: avamporta, avanti sinistro, avanti destro, centro, centro sinistro, centro destro, difensore sinistro, difensore destro, portiere.
La cosa più difficile da immaginare è in che maniera si svolgesse il compito del portiere… Di certo, la sua posizione era a ridosso delle rispettive pareti di fondo, laddove stavano appesi i canestri. Già, i canestri! Li vediamo lì, ai due estremi laterali della foto: sono due cesti di vimini, alti e cilindrici. Il recipiente dei rifiuti adottato inizialmente (bisognava staccarlo dai suoi naturali sostegni per poi applicarlo al muro) era stato fermamente bocciato dall’intendente del college di Springfield, tale mister Stebbins, che non aveva proprio gradito il piccolo sfregio arrecato all’istituto.
Fu però lui stesso a suggerire a quegli scalmanati – ed è per questo che la storia gli ha dedicato un angolino – di andare in cucina e prendere due ceste che avevano contenuto le pesche. «Oh yes, very good!»

Il giorno in cui fu giocata quella prima partita ufficiale – lo abbiamo già detto – non era ancora stato dato un nome al nuovo gioco. Ci avrebbe pensato uno degli allievi-giocatori, proprio quello che nella foto siede alla destra di Naismith (baffi anche lui, capelli spazzolati all’indietro, pallone in mano). Frank Mahan, il suo nome. Un giorno disse che se a loro disposizione c’erano un ball e un basket, perché mai quello sport non avrebbe dovuto chiamarsi basketball? E dire che era stato proprio lui – all’inizio – uno dei più scettici del gruppo: evidentemente Naismith ne aveva già proposto altre delle sue invenzioni sportive, se quando cominciò a provare quella del «pallone giocato con le mani e lanciato in alto» Mahan esclamò infastidito: «Huh, another new game!».
I canestri di vimini che si intravedono a fianco dei giocatori erano proprio al naturale, quindi a fondo cieco. Il che testimonia un’altra curiosità di quegli esordi. Una volta che la palla entrava dentro, non restava che prendere una scaletta e andar su a recuperarla. Un rito che si trascinò per diversi anni, anche quando il cesto delle pesche venne sostituito dall’anello di ferro con la retina; qualcuno poi pensò a una cordicella che, tirata giù, liberava il pallone dopo il canestro, è già così il gioco risultò più fluido. L’ulteriore evoluzione del sistema (con la rete aperta in basso che si lascia deformare e fa ciuff) era destinata – nella sua semplicità – a dare un fascino del tutto particolare.
Cos’altro leggere nella foto? C’è il pallone nelle mani di Mahan: di gomma, a spicchi, identico a quello che veniva preso a pedate nella pratica del soccer (il nostro calcio). Tutto sommato, non grossi cambiamenti da allora. Poi le divise da gioco: maglietta a giro collo con maniche fino al polso, e in più i pantaloni lunghi, non proprio l’ideale per sentirsi completamente liberi nei movimenti. Del resto, non c’era bisogno di agitarsi tanto: una delle regole era ancora quella che non si potesse correre o dribblare l’avversario, ma solo passare e tirare.

Di tutto punto, ancor più, erano vestite le prime donne che si cimentarono nel basket. Loro esibivano persino il cappellino. Ne furono coinvolte, come spettatrici, fin dalla seconda partita organizzata da Naismith, una sfida tra professori e studenti. Poco tempo dopo, una insegnante di educazione fisica di origine russa, Senda Berenson Abbott, organizzò allo Smith College di Northampton (altra cittadina del Massachusetts) la prima partita femminile, mettendo contro le classi delle matricole e del secondo anno. La leggiadria e l’inoffensività del gioco trovarono un terreno molto fertile nel cosiddetto sesso debole. Tant’è che su un dizionario inglese (era il 1895, e il neologismo compariva per la prima volta) la definizione che fu data del basketball fu la seguente: «Gioco simile al football nel quale le porte sono gabbie di ferro poste agli estremi limiti di una palestra. Gioco per ragazze».
Non sapremo mai se quella definizione era stata formulata con innocente superficialità o piuttosto con un pizzico di sarcasmo. Che però le donne abbiano avuto un ruolo chiave nella iniziale diffusione del basket è una sacrosanta verità. Ne dobbiamo sapere qualcosa noi italiani. Nel maggio del 1907, la prima dimostrazione pubblica di questo sport (o di qualcosa che gli assomigliava molto) la diedero a Venezia, sul terreno dello stadio militare Sant’Elena, le studentesse della Mens Sana in Corpore Sano di Siena, nell’ambito di un concorso ginnico. A guidarle c’era la signora Irma Nomi Pesciolini, loro insegnante, che pare si fosse limitata a leggere il primo libro di Naismith durante un suo viaggio in Inghilterra, restandone favorevolmente colpita. Una grande intuizione anche la sua. E l’inizio di una nuova storia!

Nunzio Spina