Il romanzo del prof. Paratore

In tre puntate, Nunzio Spina racconta la lunga storia del prof. Carmine Paratore, profeta del basket italiano venuto dall’Egitto.

paratore

PROFESSORE. Carmine Paratore in un’immagine degli anni ’70 [Conoscere il basket].

Lo spirito d’avventura e il gusto della sfida li aveva ereditati dai suoi antenati catanesi. Loro erano emigrati in Egitto tanti anni prima, affrontando le incognite – e le diversità – di un Paese tutto da scoprire. Lui, Carmine Paratore, vi era proprio nato sulle rive del Nilo, e in quel luogo ricco di storia e di magia aveva trovato l’ambiente ideale per far crescere la sua intraprendenza. Una scommessa dietro l’altra, finì col diventare il primo allenatore capace di lanciare in orbita la Nazionale italiana di basket, nei primi anni ’60. Aveva brillantemente chiuso il ciclo di emigrazione della famiglia: propheta – per così dire – nella patria dei suoi!

Era l’8 aprile del 1912 quando Carmine venne alla luce nella popolosa capitale del Cairo. L’Egitto faceva ancora parte dell’impero ottomano e a governarlo c’era l’ultimo dei Khedivè, una dinastia di principi che nello loro politica di modernizzazione avevano spalancato le porte agli stranieri: gli italiani furono tra i primi, e tra i più numerosi, a farsi avanti. Al Cairo, come ad Alessandria, a Suez e a Porto Said, si affermarono artigiani, commercianti, professionisti di ogni settore; ma l’apporto più consistente lo diedero i costruttori, che progettarono e realizzarono un po’ di tutto, dai palazzi alle ville, dalle strade alle piazze. Di mestiere, i Paratore, facevano proprio questo.

università

UNIVERSITA’. Paratore studiò nella scuola italiana e poi all’American University del Cairo [Egypt.edu].

Il senso di appartenenza alla comunità dei nostri connazionali era molto forte, ma il contatto con genti e culture di varia estrazione veniva vissuto in maniera del tutto pacifica e stimolante, quanto meno nel periodo che intercorse tra le due guerre mondiali. Carmine, per esempio, fu allevato in una scuola italiana intitolata a Giuseppe Garibaldi; la sua maturazione, però, non risentiva di alcuna chiusura mentale, anzi si apriva alla conoscenze di lingue (inglese e francese, oltre all’arabo), di costumi e – perché no – anche di religioni diverse. Erano i presupposti dai quali sarebbe venuta fuori la sua indole di persona per bene, di uomo istruito, educato, sempre rispettoso del prossimo.

L’amore per il basket sbocciò a soli dieci anni, e da allora non si sarebbe più appassito, anche perché furono vari i ruoli che si trovò a interpretare: giocatore prima, poi arbitro, dirigente, allenatore, direttore tecnico. Si distinse nella squadra della comunità italiana, che si chiamava (guarda caso) “Pro Patria“, e quella sarebbe stata anche la sua culla di allenatore. In realtà, di sport gliene piaceva più di uno, e il suo agile fisico gli permetteva di cimentarsi dovunque con successo: oltre a quelli ottenuti da cestista (titolo nazionale per cinque anni), arrivarono buoni risultati anche nell’atletica leggera, dove riuscì a primeggiare come campione egiziano dei 100 metri.

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RAGAZZE. La Pro Patria allenata da Paratore in Egitto. Una delle giocatrici, Aurelia, sarebbe diventata sua moglie.

Gli orizzonti si aprirono del tutto quando intraprese la carriera universitaria. Si iscrisse all‘American University del Cairo, istituzione di grande prestigio internazionale, primo ateneo di lingua inglese fondato in Egitto e nei vicini Paesi del Medio Oriente. Seguendo la passione per lo sport, che per lui si stava trasformando in una vera e propria filosofia di vita, conseguì nel 1937 la laurea in Educazione Fisica; così, a 25 anni divenne per tutti il Professor Paratore. Fu allora che vinse la sua prima scommessa da allenatore: alla guida della squadra di istituto, si lanciò in una sfida impossibile contro la Nazionale egiziana, e riuscì ad avere la meglio!

Gli amici lo chiamavano “Nello“, il vezzeggiativo dall’inconfondibile stile siciliano che i genitori gli vollero appioppare da piccolo. A quanto pare, gli si adattava meglio del suo originale nome di battesimo e a lui non doveva dispiacere, se è vero che lo accompagnò poi per tutta la vita. Questo e altro gli era stato trasmesso dalle sue radici lontane: i modi di dire, il dialetto, la cucina, certe usanze. Arrivò poi il matrimonio a rinsaldare questo legame: prese in moglie Aurelia Bottari, discendente di una famiglia messinese (di costruttori anch’essa) che aveva compiuto il medesimo percorso migratorio. Galeotto era stato il basket: Aurelia, infatti, si era messa in luce nella squadra femminile della “Pro Patria” che, sotto la guida dello stesso Paratore, aveva vinto per diversi anni il titolo nazionale. Un felice incontro di origini e di tradizioni comuni, il tutto tramandato alla generazione successiva. «I miei genitori parlavano spesso in siciliano – ci confida il figlio Tullio soprattutto quando c’era da tirar fuori un proverbio; a papà piaceva scherzare con noi figli, chiedendoci il significato di certe parole, come “liotru” per esempio… ».

Le nubi della Seconda Guerra Mondiale arrivarono a minacciare anche quella felice terra di convivenza. L’era dei Khedivè era ormai tramontata e aveva lasciato spazio a quella del Regno di Egitto, stato indipendente ma sotto l’influenza della Gran Bretagna: fu questo il motivo che costrinse il giovane re Faruq – forse anche controvoglia – a internare nei campi di lavoro tutti gli italiani sospettati di essere dalla parte di Mussolini, nonostante le simpatie mostrate fino allora dalla stessa casa reale nei confronti del governo fascista. Carmine «Nello» Paratore fu uno dei tanti a farne le spese. Dovette abbandonare la moglie e il primogenito Mario (nato nel ’39), restando confinato per anni in un luogo sperduto del deserto. Se c’era bisogno di temprare il suo carattere e la sua forza di affrontare le difficoltà, non ci poteva essere prova più dura.

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CASA. Uno scorcio di Heliopolis, città in cui Paratore viveva con la famiglia [Wikipedia].

Fece tesoro anche di quell’amara esperienza. Le tristi e interminabili giornate gli diedero il tempo, tra le poche consolazioni, di dedicarsi a qualche passatempo distensivo: come suonare il flauto, ad esempio, o come imparare il bridge, un gioco (o uno sport, a seconda dei punti di vista) che sarebbe divenuto il suo hobby principale. Aveva avuto la fortuna – si fa per dire – di condividere l’internato con Benito Garozzo (nato ad Alessandria d’Egitto, cognome di ovvia discendenza siciliana), colui che sarebbe poi passato alla storia come uno dei più forti giocatori del mondo, artefice di un lungo periodo di successo del Blue Team, la nazionale italiana di bridge.

Per fortuna ci fu il basket a incoraggiare la difficile ripresa del dopoguerra. A furia di allenare con successo squadre e squadrette, Paratore entrò nel giro della Nazionale egiziana, e poco mancò che nel ’48 prendesse parte alle Olimpiadi di Londra, come assistente di un coach statunitense, tale O’ Harris. Fu lasciato a casa e gli andò bene, perché si risparmiò una autentica disfatta e perché, proprio in conseguenza di quella disfatta, si ritrovò da un giorno all’altro promosso capo allenatore.

Scommettiamo che vinse subito qualcosa? Proprio così: l’anno dopo fu ospitato al Cairo il campionato europeo, e la squadra di Paratore riuscì nell’impresa di vincerlo, battendo in finale con 21 punti di scarto la Francia, che era stata medaglia d’argento a Londra. Sì vabbé, si giocava in casa, e poi di europeo quel campionato aveva davvero poco (c’erano solo Francia, Olanda e Grecia; in più Turchia, Siria e Libano, perché così era permesso nella federazione di allora); ma l’Egitto, così in alto, non era comunque mai arrivato. La formazione era zeppa di giocatori che avevano Youssef e Mohammed come nomi di battesimo; non oriundi quindi, tutta farina del proprio sacco, il che naturalmente rendeva maggior merito alle capacità della guida tecnica.

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VITTORIA. La Nazionale egiziana vinse i Giochi del Mediterraneo ad Alessandria nel 1951. Paratore (il secondo da sinistra) è stato ritratto lì insieme ad arbitri e dirigenti.

Che non si trattasse di un semplice episodio fortunato lo si capì presto. Nel 1950 arrivò un prestigiosissimo quinto posto ai campionati mondiali di Buenos Aires: nel bilancio di quel torneo ci fu anche una più che onorevole sconfitta, di soli 2 punti, contro gli Stati Uniti, secondi alla fine alle spalle dei padroni di casa dell’Argentina. Poi altri due primi posti nel ’51: ai Giochi del Mediterraneo e ai Giochi Panarabi, entrambi disputati tra le mura amiche di Alessandria. Quella serie positiva si sarebbe conclusa alle Olimpiadi del ’52 a Helsinki, dove il prof. Paratore, con in mano una squadra di ufficiali della polizia, riuscì a eliminare la Nazionale italiana nella fase di qualificazione (66 a 62, per la cronaca, il risultato finale).

Figurarsi la popolarità raggiunta in quegli anni! Aveva esaltato il nome dell’Egitto in giro per il mondo come un vero eroe nazionale, per quanto la sua indole riservata lo tenesse lontano da ogni tipo di esaltazione. Gli piaceva il suo lavoro, lo sport, il confronto con gli altri: se tutto questo lo incanalava verso una sfida, tanto meglio. Ma non era alla ricerca di gloria… E poi Il Cairo era per lui una città meravigliosa, non aveva bisogno di sognare altri mondi. Abitava con la famiglia a Heliopolis, dieci chilometri a nord-ovest dal centro, sobborgo residenziale moderno, pieno di monumenti, parchi e alberghi di lusso: una sorta di Eden, dove vivere era piacevolissimo, anche per la sua natura cosmopolita.

Intanto la famiglia Paratore si era allargata con l’arrivo del secondogenito Tullio (nel ’45, dopo la triste parentesi dell’internato) e poi di Laura (nel ’52, al culmine di un periodo felicissimo). Un incantesimo che era destinato a rompersi – da lì a poco – con l’arrivo dei primi sussulti nazionalisti arabi, sfociati poi nel colpo di stato militare del ’52: detronizzato re Faruq, si insediarono al potere prima il generale Naguib poi il colonnello Nasser, che rimase a capo della neonata Repubblica per quasi vent’anni.

egitto

MOSCA. Un’azione di gioco in URSS-Egitto, Europei del 1953 a Mosca, conclusi dalla Nazionale africana all’8° posto. Un pubblico immenso segue la contesa…

Paratore, benvoluto e stimato da tutti, guidò ancora la sua Nazionale in maglia verde nella ottava edizione del campionato europeo, che si svolse a Mosca nel 1953. Imbattuta nel girone di qualificazione, la rappresentativa egiziana si qualificò per la fase finale, ottenendo poi l’ottavo posto; davanti, però, aveva stavolta gli squadroni dell’Est (Urss, Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia), più Francia, Israele e Italia, che si classificò settima, pur essendo sconfitta – ancora una volta – dalla irriverente pattuglia di Paratore. Fatte le debite proporzioni, quell’ottavo posto non era tanto da meno del clamoroso successo riportato quattro anni prima al Cairo. Ma si sarebbe trattato dell’ultima scintilla: dopo l’edizione di Mosca, infatti, l’Egitto sarebbe uscito definitivamente dall’Europa; e sarebbe anche scomparso dalla vetrina del basket internazionale…

Nessuno costrinse la famiglia Paratore ad abbandonare il Cairo e l’Egitto, ma erano cambiati i tempi, e anche l’aria che si respirava. Molti erano già andati via; per il Professore fu determinante la proposta che la federazione italiana di pallacanestro gli fece arrivare nel ’54. Non gli piaceva fuggire, ma pensò che forse era meglio prevenire situazioni meno favorevoli in futuro. Accettò, e ti saluto Egitto!

A un giornalista del posto, che di nome faceva Alberto Curro e che inviava le sue corrispondenze in Italia, rivelò il suo stato d’animo: «Provo un sentimento di dovere e di speranza di un mio valido contributo alla rinascita della pallacanestro azzurra. Tu sai bene d’altronde che il lavoro non mi spaventa e ti assicuro che non tralascerò nessun mezzo per ricambiare la fiducia dei dirigenti italiani. Pertanto sono convinto che con l’aiuto di Dio e la collaborazione di tutti riusciremo…».

Quando si accomiatò dalla terra natia, tra abbracci e rimpianti, qualcuno gli sussurrò a un orecchio: «Ricordati, Nello, che chi ha bevuto l’acqua secolare del Nilo torna immancabilmente a berla!»……

fine prima puntata (continua, continua…)

Nunzio Spina

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