L’allenatore del Real Madrid nato a Catania ~ Oggi festeggia i 50 anni ~ L’infanzia a Catania ~ I successi tra Bologna, Nazionale, Treviso e Russia ~ L’augurio al basket catanese.
Venezia, Bologna, Treviso; poi Mosca (da quando ha deciso di esportare all’estero il suo talento) e adesso Madrid. Quante città importanti nel suo destino! Esperienze straordinarie, successi dappertutto. E Catania? Cos’è, solo un nome stampato su un documento? «No, è molto di più! – confessa – Sono rimasto solo i primi cinque anni a Catania, ma la “catanesità” (come modo di parlare e di pensare, come tradizioni) l’ho vissuta per tanto tempo, perché i miei genitori se l’erano portata dietro…». Papà Filippo, avvocato nella pubblica amministrazione, decise un bel giorno di accettare un trasferimento a Venezia, e allora tutti via: con mamma Agata anche i tre figli (due maschi e una femmina), in testa Ettore che era addirittura il maggiore.
Certo, un po’ pochini quegli anni della prima infanzia per conservare vivi i ricordi. «Eppure qualche flash ce l’ho ancora. Abitavamo in una stradina che si chiamava Via della Fiaccola (quasi all’incrocio tra Via Vincenzo Giuffrida e Via Gabriele D’Annunzio, n.d.r.). La scuola che frequentavo era il collegio Leonardo da Vinci, dove mio nonno Attilio mi accompagnava e mi veniva a riprendere. Per il trasferimento a Venezia dovetti interrompere la prima elementare a metà strada; poi ricordo di essere tornato all’inizio dell’estate per sostenere, da esterno, gli esami per la promozione in seconda…». Il Leonardo da Vinci, ovviamente, era nella sede storica di Viale Vittorio Veneto. Quando gli diciamo che proprio in quel collegio, poi trasferitosi in una sede molto più grande nella periferia nord della città, il basket ha sempre rappresentato una sorta di istituzione, ci ride su: «Si vede che stava scritto: in una maniera o nell’altra, con questo sport dovevo fare i conti!».
La voglia di accettare le sfide e di rimettersi sempre in discussione – evidentemente – non è stata ancora placata dai tanti successi riportati finora nella sua carriera di allenatore. Ci sono 5 primi posti in competizioni europee, 4 scudetti (tra Bologna e Treviso), 7 vittorie in Coppa Italia, un argento europeo alla guida della Nazionale italiana, più una serie interminabile di altri titoli, piazzamenti e riconoscimenti personali. Proviamo a stuzzicarlo, chiedendogli se è in grado di ricordarli tutti, uno per uno. «Sì posso farlo tranquillamente – replica laconicamente – per il semplice motivo che ognuno di questi successi è stato voluto, sofferto, ed è rimasto inevitabilmente scolpito nella mia mente. Però mi ricordo benissimo anche le sconfitte: se volete comincio a enumerare quelle… ». Un bell’esempio di onestà e di modestia, non c’è che dire! Messina, del resto, ha sempre mostrato di possedere qualità umane, oltre a quelle tecniche: impegno sul lavoro, correttezza in campo, mai in escandescenza, insomma un professionista serio.
Ettore ci provò a mettersi in luce, ma a soli 16 anni capì che la sua stoffa era più adatta a quella dell’allenatore. «Come giocatore avevo delle doti modeste. Il fatto è che nel vivaio della Reyer c’era una grossa competizione, e io ero piuttosto fragile da un punto di vista psicologico: il timore di essere tagliato fuori mi procurava una grande tensione emotiva…». I paradossi della vita: bastò cambiare ruolo sulla stessa scena, e appendere un fischietto al collo, per tramutare in un punto di forza quella sua, apparente, debolezza.
Cinque anni di giovanili a Venezia, poi Mestre e Udine, con compiti di sempre maggiore responsabilità. Terre fertili per tradizione, cestisticamente parlando. Se poi c’è uno come Ettore Messina che sa coltivare, i frutti vengono fuori buoni e in abbondanza. Catania e la Sicilia, però, se li ritrovò ancora davanti, a condizionare in qualche modo il suo cammino. «Posso dire di avere avuto, tra gli altri, due grandi maestri che hanno fortemente influito sulla mia formazione di allenatore. Uno era palermitano, Massimo Mangano: al suo fianco sono stato a Mestre e a Udine, imparando molto sul piano della organizzazione tecnica e della programmazione. Un uomo di grandi doti, che non ha avuto la fortuna che meritava, e che peraltro era atteso dal triste destino di una morte improvvisa e prematura. L’altro un catanese, Santi Puglisi, inutile che ve lo descriva: per la nostra generazione di allenatori è stato sicuramente un preciso punto di riferimento, sia come metodica di allenamento che come approccio psicologico con i ragazzi, soprattutto nel periodo in cui si è occupato delle Nazionali giovanili».
Nella famiglia, nel valore delle sue radici e degli affetti, ha sempre creduto fermamente. «Fa parte dell’educazione che mi hanno impartito i miei genitori. A loro devo tanto: non mi hanno mai ostacolato nelle mie scelte e io ho cercato di ricambiare la loro fiducia. Papà voleva a tutti i costi che io mi laureassi, e il fatto di esserci riuscito è stato per me un motivo di grande orgoglio». Laurea in Economia, conseguita all’Università di Venezia; poi è arrivata anche quella, ad honorem, dell’Università di Bologna. Non solo diplomi lasciati là. Il dott. Messina è stato più volte chiamato a tenere lezioni sulla gestione delle risorse umane alla stessa Università di Bologna e alla Bocconi di Milano. Come dire: se si volesse voltare la pagina di allenatore, se ne potrebbe aprire un’altra altrettanto prestigiosa.
Quasi vent’anni a Bologna, che divenne così la sua vera città di adozione, con l’intermezzo della esperienza alla guida della Nazionale: oro ai Giochi del Mediterraneo nel ’93, argento ai Goodwil Games di San Pietroburgo nel ’94, argento ai Campionati Europei del ’97. Un periodo felice che in molti rimpiangono, ancor più dopo le ultime deludenti prestazioni degli azzurri. Sentiamo cos’ha da dirci a tal proposito. «Intanto devo manifestare la mia profonda delusione per il momento di crisi che sta attraversando la nostra Nazionale. Quello che proprio faccio fatica ad accettare è la scarsa motivazione, diciamo pure la mancanza di determinazione e di cuore, che i giocatori hanno mostrato negli ultimi anni. Comunque, il problema non riguarda solo loro: è molto più complesso e le cause da ricercare possono essere tante. Una di queste, sicuramente, è che fin quando Federazione e Lega continueranno a litigare tra loro (per il numero degli stranieri o per altro) la Nazionale ne risentirà sempre negativamente». Da più parti era stato auspicato proprio un ritorno di Messina, al posto di Recalcati. «Non ho nulla da nascondere. Io mi ero reso disponibile, ma una volta arrivata la chiamata da Madrid il discorso si è chiuso definitivamente».
Intanto, dopo avere imparato la lingua russa, Messina ha dovuto adattarsi con lo spagnolo, e a quanto pare già dalla conferenza stampa di presentazione a Madrid ha stupito i giornalisti presenti per la conoscenza e l’ottima pronuncia. Il Real si aspetta molto da lui: lo hanno considerato il “terzo galactico”, dopo gli acquisti di Ronaldo e Kaka nella squadra di calcio. C’è fame di riconquista: l’ultimo successo in campionato, la Liga, è del 2007, ma quello in Eurolega risale addirittura al ’95. «La magra degli ultimi anni, sinceramente, mi crea più preoccupazioni che altro, e mi carica di maggiori responsabilità. Comunque, non abbiamo alibi, dobbiamo tornare a essere competitivi. Ci sono 8.000 spettatori che puntualmente si presentano al Palasport e non possiamo tradirli. Ho posto come obiettivo principale la partecipazione alla final four di Eurolega: un sueňo, come si dice da queste parti, che spero tanto si realizzi».
Anche a Madrid, Messina è stato seguito dalla moglie e dal piccolo Filippo, mentre la figlia più grande, Lucia, vive a Venezia dove si è laureata. In Spagna ha anche ritrovato il suo vecchio amico-avversario Sergio Scariolo, che aveva già allenato il Real negli anni tra il ’99 e il 2002, e che attualmente guida la nazionale spagnola. «Gli faccio i miei complimenti, la Nazionale è una cosa molto sentita da queste parti e, forse a differenza dell’Italia, trascina l’entusiasmo anche per le squadre di club. Con Sergio ci sentiamo spesso e devo dire che lui mi ha aiutato ad ambientarmi». Parole pronunciate in tempi non sospetti: qualche giorno dopo sarebbe arrivato, infatti, il trionfo della Spagna nell’Europeo disputato in Polonia.
Non ci rimane che fargli il nostro “in bocca al lupo”. Prima di lasciarlo andare, però, vogliamo che rivolga uno sguardo anche al basket catanese. Gli parliamo di una prima squadra maschile che in B dilettanti insegue con grande impegno le proprie ambizioni; del fermento che c’è dietro, sia nel settore maschile che in quello femminile, con numerose società che hanno impostato la loro politica sui giovani, e in qualche caso anche sulla collaborazione tra loro; delle numerose iniziative propagandistiche degli ultimi tempi, dai playground alle esibizioni nella “notte bianca” in Piazza Duomo… «Il basket in Piazza Duomo sotto la statua dell’Elefante? Che magnifica idea! Beh, questa voglia di riscatto del basket a Catania non può che farmi piacere. L’augurio, ovviamente, è che si possa andare più in alto il prima possibile; ma, se mi è permesso, non vorrei che questo desiderio di promozione si trasformi in una ansia, in una smania di ottenere tutto e subito. Importante è costruire basi solide, per far sì che, quando si riuscirà a conquistare qualcosa, ci sia anche la forza di mantenere una certa continuità negli anni».
Allora ci vuole un “in bocca al lupo” a vicenda. «Come no! Lo ricambio volentieri. A questo punto, visiterò ogni tanto il vostro sito e mi terrò aggiornato. La prossima estate, chissà, potrebbe essere l’occasione buona per tornare a Catania e festeggiare insieme: magari tutti alla Playa a fare il bagno…».
El sueňo si è già arricchito di nuovi e interessanti particolari!
Nunzio Spina